giovedì 30 settembre 2010

Amianto. Emergenza italiana

a cura di Legambiente


La mancanza di impianti di smaltimentoamianto è una nota dolente per tutto il territorio nazionale. Ad oggi le regioni che hanno una discarica dedicata allo smaltimento dei rifiuti contenenti amianto sono Abruzzo (in istruttoria per la riapertura), Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Liguria e Lombardia (esaurita nel marzo 2009). La Basilicata ne ha 2, il Piemonte 3, Toscana e Sardegna hanno sul proprio territorio 4 impianti ciascuna. In tutti i casi le volumetrie residue sono inadeguate se riferite ai quantitativi di materiali contenenti amianto ancora presenti sul territorio. Al contrario, lo smaltimento dei materiali è un nodo cruciale da risolvere per un’adeguata azione di bonifica dell’amianto su tutto il territorio nazionale.

Nel 1992 con la legge 257 in Italia è stata messa al bando l’estrazione, l’importazione e l’utilizzazione dell’amianto e dei prodotti che lo contengono. La stessa legge obbligava le Regioni ad adottare entro 180 giorni dalla sua entrata in vigore il Piano Regionale Amianto, un programma dettagliato per il censimento, la bonifica e lo smaltimento dei materiali contaminati dalla fibra killer. Sono passati oltre 18 anni dall’emanazione della legge e ancora oggi le Regioni si trovano in forte ritardo negli interventi per ridurre il rischio sanitario da amianto nel proprio territorio.

In Italia, secondo le stime di Cnr e Ispesl, ci sono ancora 32 milioni di tonnellate di amianto sparse per il territorio nazionale. Ma siamo ancora lontani dall’avere dati dettagliati su quanto ancora se ne nasconde all’interno di siti industriali, edifici pubblici o privati, cave, reti idriche, etc.

9.166 casi di mesoteliomamaligno (MM) registrati dal ReNaM (2010) in Italia fino al 2004 e distribuiti su tutto il territorio nazionale. Tra le regioni più colpite ci sono il Piemonte (1.963 casi di MM), la Liguria (1.246), la Lombardia (1.025), l’Emilia-Romagna (1.007) e il Veneto (856). Per quasi tre quarti dei casi registrati si è riusciti a risalire all’origine della causa. Tra questi per il 69,8 % la causa è professionale, per il 4,5% è familiare, per il 4,7% ambientale, per l’1,4% da attività di tempo libero e per il 19,5% altro.

Nell’arco di tempo analizzato dai Registri (1993-2004) è diminuita l’influenza dei settori tradizionali, come i cantieri navali, o la lavorazione in manufatti in cemento amianto, mentre crescono i casi riconducibili ad altri tipi di esposizione come quello del settore dell’edilizia oppure i casi non riconducibili ad attività a rischio svolte in precedenza. Un elemento importante perché dimostra che la grande diffusione di amianto nel nostro Paese causa un’esposizione a volte inconsapevole alla fibra.

Non esiste un livello di esposizione sotto il quale l’amianto risulta innocuo. Anche piccole esposizioni sia nel tempo che nella concentrazione della contaminazione possono far insorgere la malattia: Una vera e propria strage silenziosa che colpisce a distanza di decenni e che continuerà a mietere vittime anche negli anni a venire. Si stima che un’inversione di tendenza nella crescita del numero di casi diagnosticati di anno in anno possa essere attesa non prima del 2020.

Il Ministero dell’ambientedeve deve mettere in campo le risorse economiche ed umane necessarie a completare la mappatura nazionale prevista dal 2003: solo così sarà possibile avere un quadro completo della presenza di amianto in Italia, utile per Regioni, Province, Comuni e cittadini.

Il Governo deve garantire adeguate risorse economiche per produrre studi epidemiologici nei siti più interessati dall’esposizione all’amianto, a partire dai siti di interesse nazionale da bonificare, estendendole a tutto il territorio nazionale per monitorare gli effetti di questa “strage silenziosa”.

Le Regioni inadempienti devono adoperarsi per una rapida approvazione dei piani regionali sull’amianto individuando le criticità e facendo una capillare mappatura degli edifici e dei manufatti interessati per stabilire le priorità di intervento; prevedere adeguate risorse economiche per co-finanziare la rimozione e la bonifica delle strutture contaminate di proprietà dei Comuni e dei cittadini; pianificare la realizzazione di una imprescindibile impiantistica regionale di trattamento e smaltimento a supporto delle auspicabili operazioni di bonifica; svolgere un’adeguata attività di informazione sui rischi derivanti dall’esposizione alle fibre dovuta al deterioramento e allo smaltimento illegale delle strutture in cemento-amianto dismesse.

Fonte: Legambiente

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