di Emilio Fabio Torsello
Dopo le indagini che hanno portato al congelamento di 23 milioni di euro e all’inchiesta a carico di Gotti Tedeschi, un motu proprio di Benedetto XVI in pubblicazione domani, impone alla Banca Vaticana (l’Istituto per le Opere religiose, Ior) di adeguarsi alle normative europee sull’antiriciclaggio, sottoscritte il 17 dicembre dello scorso anno con Bruxelles.
Per l’istituto di credito della Santa Sede si tratta di una svolta. Da sempre considerato un’isola autonoma opaca, la decisione di Ratzinger potrebbe sconvolgere l’assetto interno della banca pontificia. L’applicazione dei regolamenti europei, infatti, sarà immediata. Per volontà di Ratzinger, inoltre, sarà istituita una speciale autorità di controllo chiamata a vigilare sull’applicazione delle normative in questione. In questo modo, il Vaticano potrebbe rientrare nella cosiddetta “white list” dell’Ocse e “normalizzerà” i rapporti con le banche nostrane.
Altro punto fondamentale, saranno coniati euro con l’effigie di Oltretevere. Da sempre appannaggio dei collezionisti, la moneta papale inizierà ad essere usata nel commercio comune. La percentuale di euro diffusi sarà comunque minima perché prodotta in relazione alla popolazione dello Stato ma ogni anno potranno essere coniati fino a 2.300.000 euro con lo stemma vaticano.
PRESENTE E PASSATO
Conti cifrati difficilmente riconducibili al reale possessore, una finanza interna fatta di autorizzazioni e diversi livelli di sicurezza, la decisione di Ratzinger è un passo fondamentale verso un regime di trasparenza interna dello Ior.
Se si guarda al passato, agli scandali del Banco Ambrosiano ed Enimont, a figure ambigue come quella del vescovo Paul Marcinkus – a capo dello Ior dal 1971 al 1989, sotto il pontificato di papa Woytila, più volte indagato per riciclaggio, bancarotta fraudolenta e chiamato in causa per la scomparsa di Emanuela Orlandi – ci si rende conto che nello scorso trentennio proprio lo Ior ha fatto parte di quella zona grigia italiana popolata da pidduisti, massoni, mafiosi e banchieri, in cui sono maturati numerosi scandali dai contorni ancora poco chiari.
Quella di Ratzinger, dunque, è una vera e propria opera di “pulizia interna”, annunciata prima ancora della sua elezione a papa – durante la veglia pasquale del 2005 parlò di “sporcizia all’interno della Chiesa” – concretizzatasi nei fatti con la rimozione prima di monsignor Degollado – a capo dei Legionari di Cristo, accusato di pedofilia e “protetto” sotto il pontificato di Woytila – e poi con il “trasferimento” dalla direzione di Propaganda Fide al arcivescovado di Napoli – ancor prima delle indagini per corruzione che l’avrebbero coinvolto insieme a Diego Anemone e Guido Bertolaso – del cardinale Crescenzio Sepe. A questo si aggiungono i numerosi appelli al perdono per i casi di pedofilia maturati e cresciuti durante il pontificato di papa Woytila, per i quali Ratzinger ha già abolito ogni tipo di prescrizione del reato e invitato le diocesi a collaborare con la magistratura.
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