Mentre l’Unione europea ha proclamato il 2010 “Anno europeo di lotta contro la povertà e l’esclusione sociale”, numerosi Stati membri hanno presentato dei bilanci all’insegna dell’austerità, che inevitabilmente provocheranno un ulteriore aumento delle situazioni di grande precarietà.
Molti bambini già vivono in condizioni di povertà ed è evidente che la lotta contro la povertà infantile incontrerà sempre maggiori difficoltà, ha dichiarato il commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa, Thomas Hammarberg, nell’ultimo articolo del suo Human rights comment pubblicato oggi.
La povertà infantile era già diffusa prima dell’attuale crisi economica, anche in Europa. Nel Regno Unito, per esempio, tale questione figura da numerosi anni tra le priorità politiche. Eppure, malgrado i notevoli sforzi compiuti dai pubblici poteri, il fenomeno persiste su larga scala.
Si stima che attualmente nel Regno Unito vivano non meno di 2,8 milioni di bambini poveri. Tale cifra rappresenta il numero di bambini che crescono in famiglie con reddito inferiore al 60% del reddito mediano nazionale.
Oltre un quarto dei bambini britannici vive quindi in condizioni di povertà. La situazione non è migliore in numerosi altri paesi europei, compresi quelli in cui tale problema è molto poco dibattuto.
È importante ricordare che la povertà non è solo una questione di redditi bassi e di limitato potere di acquisto. I rapporti dell’Unicef sulla povertà infantile hanno giustamente posto in rilievo anche altri aspetti, quali la disoccupazione dei genitori, la salute e la sicurezza, il benessere educativo, la situazione familiare e l’esposizione alla violenza.
Una questione di priorità politica
Emerge da tali studi che i bambini che crescono in condizioni di povertà sono molto più vulnerabili degli altri. Hanno maggiori probabilità di avere una salute cagionevole, di ottenere risultati più scadenti a scuola, di avere guai con la polizia, di non acquisire una formazione professionale, e, diventati adulti, di ritrovarsi disoccupati o poco retribuiti e di dipendere dai sussidi sociali.
La povertà infantile contribuisce ad allargare i divari e le disuguaglianze nella società e innesca una sorta di circolo vizioso, per cui i percorsi di emarginazione tendono a trasmettersi da una generazione all’altra.
Anche se il fenomeno della povertà infantile è comune a tutto il continente europeo, gli studi dell’Unicef hanno tuttavia permesso di evidenziare le notevoli differenze esistenti tra i paesi europei, compresi quelli con condizioni economiche comparabili. Tale elemento tende a dimostrare l’importanza di fissare delle priorità politiche per affrontare il problema: la povertà infantile si può combattere adottando misure risolute.
Qualunque piano d’azione contro la povertà infantile deve evidentemente cercare di definire i gruppi vulnerabili e le situazioni a rischio. Possono rientrare in tale categoria le famiglie monoparentali e i bambini con bisogni speciali. È stato constatato che sono più colpiti dalla povertà i bambini che vivono in un contesto rurale, i figli degli immigrati e i bambini rom.
È indispensabile fornire a tali categorie a rischio un’assistenza diretta, tramite sussidi sociali e assegni familiari. Tale aiuto economico deve essere adeguatamente mirato e sufficiente per permettere ai bambini (e ai loro genitori) di uscire dalla morsa della povertà.
I bambini poveri devono usufruire di un sistema di protezione sociale.
È d’altronde ugualmente importante accertarsi che gli istituti scolastici, i servizi sanitari, i centri di accoglienza diurna per l’infanzia e le altre strutture pubbliche eroghino i loro servizi senza discriminazioni e possano sostenere le persone più emarginate o svantaggiate, a prescindere dalle cause che hanno determinato la loro condizione. Occorre vigilare affinché le politiche di privatizzazione di tali servizi non ne impediscano l’accesso ai più bisognosi.
Per ridurre la povertà infantile, una delle prime misure da adottare deve mirare a garantire il libero accesso all’istruzione. Anche nelle scuole dove non si pagano tasse scolastiche, esistono talvolta dei costi nascosti, come l’acquisto della divisa o di manuali scolastici. In certi paesi, i genitori devono persino pagare il riscaldamento degli edifici scolastici. Le politiche educative dovrebbero in particolare affrontare i problemi dell’abbandono scolastico e della disoccupazione giovanile, prevedendo formazioni appropriate e corsi orientati all’occupazione.
Ancora oggi, molti bambini poveri non hanno accesso ai servizi sanitari di base. Per il semplice fatto che i loro genitori non usufruiscono della previdenza sociale, non sono iscritti al sistema sanitario nazionale, oppure hanno risorse insufficienti, questi bambini sono esclusi dalle cure mediche. Al riguardo, si sono rivelate molto positive le esperienze condotte nelle scuole per garantire visite mediche e controlli odontoiatrici gratuiti.
Bilanci statali che provvedano a tutelare i bambini.
Ridurre il bilancio dell’istruzione e della sanità si rivela una pessima scelta e significa ipotecare il futuro. Inoltre, gli Stati che prendono tali decisioni vengono meno alla promessa fatta ai bambini nella Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti dell’infanzia: stanziare il massimo delle risorse di cui dispongono a favore dei bambini e dei loro diritti.
Fonte: Consiglio d’Europa Diritti Umani
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