Non depositata in tempo la motivazione e scaduti i termini della custodia cautelare in carcere.
di Anna Foti
Motivazione redatta e depositata troppo tardi. Una sentenza di condanna all’ergastolo ma senza reclusione perché i termini della custodia cautelare in carcere sono scaduti, decorsa la durata massima di sei anni. Una contraddizione ormai sempre più frequente. Una libertà inattesa sotto l’albero in beffa ad un giustizia lumaca che così assesta un colpo durissimo alla sua stessa credibilità. Parliamo della motivazione a corredo della sentenza di condanna in appello all’ergastolo per Giuseppe Belcastro, cinquantenne imputato nel processo ‘Prima Luce’ (incardinato a Locri a regime ordinario e a Reggio con il rito abbreviato) avente ad oggetto la sanguinosa faida di Sant’Ilario tra le ‘ndrine D’Agostino e Belcastro - Romeo. Una mattanza durata 17 anni nella Locride, una lunga scia di vittime.
Pene pesantissime tra cui anche l’ergastolo per Giuseppe D’Agostino, liberato per un vizio procedurale rilevato dinnanzi alla Suprema Corte, ma poi giustiziato dalla ndrangheta nell’aprile 2006. Tra queste pene anche l’ergastolo a carico di Giuseppe Belcastro e la sentenza ha, anche in questo caso, una storia particolare. Letto nel marzo del 2006 il dispositivo di condanna all’ergastolo per l’omicidio di Emanuele Quattrone, avrebbe dovuto essere corredato dalla motivazione e depositato nel termine ordinatorio di 90 giorni. Ne sono passati oltre 1500 di giorni, quattro anni e mezzo circa, e nessuna nota è pervenuta dalla Corte di Assise e d’Appello di Reggio Calabria, presieduta allora da Antonello Maffa ed Enrico Trimarchi a latere, dunque la scarcerazione, nonostante una condanna all’ergastolo, pena massima in secondo grado di giudizio e per reati di mafia, è quanto il nostro codice di procedura penale dispone d’ufficio quando la libertà personale, costituzionalmente inviolabile, viene ristretta senza che si rispettino le procedure.
Inutile il ricorso in Cassazione proposto dal collegio difensivo composto da Antonio Managò e Adriana Bartolo, poiché tecnicamente sono scaduti i termini massimi di custodia cautelare, quella disposta in fase pre-processuale e che dopo la sentenza avrebbe dovuto confluire in una detenzione a vita qualora fossero stati rispettati tutti i passaggi previsti dalla legge a garanzia dei diritti dell’individuo, del suo diritto di difesa, altrettanto costituzionalmente rilevante, e della condanna a lui ascritta. In particolare, la faida in questione, cruenta al punto da insanguinare il Lungomare di Locri nella notte tra il 12 e il 13 luglio del 2000 con due vite stroncate e tre persone ferite. Arrestate 14 persone dalla Polizia poco dopo, nell’ambito dell’inchiesta coordinata dal pm Nicola Gratteri e che gettò luce su 15 omicidi.
Giuseppe Belcastro era detenuto presso l’istituto penitenziario di Spoleto, adesso avrebbe potuto fare ritorno a casa ma invece è stato trasferito in una casa lavoro a Sulmona in terra abruzzese, in ragione di un aggravamento della pena disposto dal Tribunale di Sorveglianza quando era ancora latitante nel 2002. Analogo destino incredibile, vista una condanna all’ergastolo, avrebbe potuto essere quello di Tommaso Romeo, coinvolto anch’egli nella sanguinosa faida nella Locride, se non fosse stato per un’altra sentenza all’ergastolo, questa volta, debitamente depositata e motivata, nell’ambito del processo ‘Valanidi’ risalente alla metà degli anni Novanta. Eppure la Procura generale di Reggio Calabria aveva già segnalato alla Corte d'appello i ritardi nel deposito della motivazione proprio della sentenza relativa all’inchiesta ‘Prima luce’e la stessa deputata di Futuro e Libertà, Angela Napoli, adesso torna a chiedere spiegazione per le mancate risposte alle sue interrogazioni in merito.
"La mancata ispezione, almeno non comunicatami dal Ministero della Giustizia in risposta alle mie interrogazioni parlamentari sul caso - incalza l’onorevole Napoli - evidenzia l'illiceità con la quale alcuni giudici della Corte d'Assise d'Appello di Reggio Calabria continuano impunemente ad operare". La stessa Deputata ricorda di avere "presentato due interrogazioni sul caso del macroscopico ritardo nel deposito della motivazione della sentenza del processo 'Prima Luce' sulla faida di Sant'Ilario" e di non avere "mai ricevuto risposta”.
Dunque se desta scalpore, come è giusto che sia, che una persona condannata all’ergastolo si ritrovi fuori dal carcere a scontare una pena alternativa, ciò non deve anche rappresentare l’occasione per criminalizzare unicamente il garantismo che permea di sé il sistema giustizia italiano ma deve costituire la sede per imporre una seria e allargata riflessione su eventuali responsabilità, sulle lungaggini della burocrazia, sul carico dei processi pendenti e, complessivamente, sulla macchina di una giustizia che necessita di risorse adeguate affinchè, pur tutelando l’imputato e il suo diritto di difesa, non perda, come ormai accade troppo spesso, la sfida a tutela del bene comune e delle vittime di reato, ossia quella della certezza della pena e della qualità della rieducazione della persona detenuta.
di Anna Foti
Fonte: http://www.liberainformazione.org/
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