mercoledì 29 dicembre 2010

L’UNGHERIA HA LA SUA LEGGE BAVAGLIO

di Matteo Zola
Lo scorso aprile l’Ungheria ha votato per il rinnovo del Parlamento. Per la prima volta, dopo vent’anni di dominio socialista, ha vinto il partito di centrodestra Fidesz, guidato da Victor Orban, poi nominato Primo Ministro. Il partito socialista è l’erede diretto del Partito Socialista Operaio Ungherese, al potere durante il regime comunista. Nel corso di questi vent’anni ha dominato la scena politica fino al 2006, quando le elezioni parlamentari lo vedono trionfare ancora, ma i venti di rivolta cominciano a soffiare. Il 23 ottobre di quell’anno, durante la commemorazione per i cinquant’anni dell’Insurrezione di Budapest, avvengono scontri molto gravi nella capitale, alcuni manifestanti si impossessano addirittura di un carroarmato e si lanciano contro il Parlamento. Malgrado gli scontri e il dilagare del malcontento, malgrado la sconfitta alle amministrative, il Governo non si dimette e chiede la fiducia del Parlamento che gli viene accordata. 

Alle elezioni dell’aprile scorso questo malcontento si è tramutato in plebiscito per Fidesz, che ottiene il 52,7% dei consensi, conquistando più dei due terzi dei seggi in Parlamento. Numeri che consentono di cambiare la Costituzione senza passare dal benestare dell’opposizione. Il governo di Orban, dopo avere subito il contraccolpo della crisi greca, ha mandato al diavolo il Fmi. Poi ha contribuito ad alimentare una forte tensione politica con la vicina Slovacchia in nome del nazionalismo. Per fare cassa ha tassato le banche, che ora non lo amano. Si è trovato a fronteggiare una catastrofe naturale, quando 700mila metri cubici di residui chimici sono fuoriusciti da una fabbrica arrivando fino al Danubio e uccidendo decine di persone. Infine, in un contesto tanto scosso, con l’opinione pubblica concentrata sulla crisi del fiorino, ecco il capolavoro di Orban: una nuova legge sull’informazione. Se in questo anno si è stati incerti nel giudicare l’operato del governo Fidesz, che alternava buone riforme a pessime iniziative, ora la bilancia pende fortemente verso il segno negativo. 

Ecco cosa comporta la legge bavaglio ungherese:

* Soppressione di tutte le agenzie che producono o diffondono informazione nelle radio e nelle televisioni: resterà solo l’Agenzia di stampa governativa (Mti), che centralizzerà tutte le informazioni e le distribuirà personalmente ai media. In sostanza fungerà da unico serbatoio di fonti giornalistiche, in grado di selezionare le notizie alle quali potranno attingere tutti i media del paese nonché, gratuitamente, il grande pubblico. L’agenzia, finanziata dalle entrate statali, sarà composta, come aveva precedentemente ribadito il suo direttore, Csaba Belenessy, da professionisti fedeli al governo.  

* Multe salate per chi scrive articoli “non equilibrati politicamente”. L’equilibrio sarà valutato dal Garante per l’informazione. Il Garante per l’informazione sarà nominato dal Governo, resterà in carica nove anni e potrà emanare decreti.

* Ancora multe per chi pubblica “informazioni contrarie agli interessi nazionali” (ma non si dice quali sono) o “lesive della dignità umana”. Mancando riferimeti precisi, decide il suddetto Garante.

* I giornalisti hanno, da ora in poi, l’obbligo di rivelare le loro fonti, pena sanzioni penali, quando ci sono “questioni legate alla sicurezza nazionale”, devono consegnare tutti i loro documenti e supporti elettronici su semplice richiesta del potere esecutivo.

* Infine i telegiornali dovranno rispettare la soglia del 20% per la cronaca nera, mentre la musica dovrà essere, per il 40%, di provenienze ungherese.

Una legge non conforme alle direttive europee. L’allarme è già stato lanciato dall’Ipi, l’Istituto internazionale della stampa. Il consenso interno di cui gode Fidesz resta però alto. Anche grazie al populismo e alle retoriche nazionaliste buone a distrarre l’opionione pubblica magiara, che ha il difetto di farsi distrarre facilmente da queste sirene. Il timore dei dimostranti e di molti osservatori è che, per evitare sanzioni e multe salate che potrebbero significare la fine -soprattutto- dei giornali più piccoli e indipendenti, le testate si autoregoleranno come nei tempi del comunismo, praticando l’autocensura.
di Matteo Zola

Tratto da: http://www.narcomafie.it/

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