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Quest'anno l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) dedica la Giornata Mondiale del Rifugiato, che si celebra ogni 20 giugno, al 60° anniversario della Convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951 relativa allo Status dei Rifugiati. Si tratta del primo accordo internazionale che impegna gli stati firmatari a concedere protezione a chi fugge dalle persecuzioni per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o per opinione politica.
Alcuni mesi prima dell’approvazione della Convenzione, il 1° gennaio 1951, aveva cominciato ad operare l’appena costituito Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati e da allora, in tutte le sue operazioni, l’UNHCR ha aiutato milioni di persone assistendole nel ritorno a casa o attraverso il reinsediamento in nuovi paesi, rappresentando quotidianamente per quasi 34 milioni una prioritaria fonte di assistenza.
Sono questi i numeri di un’emergenza mondiale ormai costante e di un lavoro non sempre facile, complicato talvolta dal mancato rispetto delle leggi internazionali (come nel caso italiano) e da gravi crisi mondiali che si susseguono e si accavallano. Solo facendo riferimento a quanto riferito dalla portavoce dell’UNHCR Laura Boldrini “negli ultimi mesi sono attive almeno 5 crisi che interessano rifugiati”, non tutte rilanciate dai grandi media.
“Si va dalla Costa d’Avoriodove a due mesi dalla fine della crisi post-elettorale, solo nel corso delle ultime tre settimane l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati ha registrato 322.277 sfollati all’interno del paese”, al Kirghizistanche ad un anno dai drammatici quanto poco conosciuti scontri nel sud del Paese “conta ancora decine di migliaia gli sfollati”. Sorte ancora più incerta hanno i civili sfollati nell’area intorno alla città del Sudan di Abyei e dei quali si è occupato più volte anche Unimondo. “Qui - ha precisato la Boldrini - gli sfollati sono più di 100.000, dei quali solo 67.000 sono stati finora registrati".
Ma non è finita. Si è da poco conclusa l’ultima fase dell’operazione di ritorno di sfollati a seguito dei combattimenti nelle aree tribali del Pakistan. “Negli ultimi due mesi 38.000 persone sono state assistite per lasciare il campo di Jalozai, il più esteso dei quattro campi per sfollati presenti nell’area”, mentre sono tutt’altro che conclusi gli spostamenti forzati di popolazione in fuga dal nord Africa, sia per gli esiti ancora incerti delle rivoluzioni democratiche, sia per l'ennesima “guerra umanitaria” che la NATO ha aggiunto alla guerra civile in Libia.
“Eppure nonostante l’emergenza nord africana e la guerra in Libia sono ancora pochi i migranti che arrivano a bussare alle porte della Fortezza Europa” ha ricordato l’Associazione Centro Astalli dal 1981 impegnata per mano dei Gesuiti a difendere i diritti dei rifugiati. È vero che il numero dei rifugiati dipende soprattutto da quanto durerà la guerra e pertanto è difficile fare previsioni sulla sua entità, “ma delle ben 686mila persone che sono finora scappate dalla Libia - ha aggiunto la Boldrini - la maggioranza non ha certo attraversato il Mediterraneo, ma si è riversata nei paesi confinanti, i più esposti e sotto pressione. In particolare, 327mila sono giunti in Tunisia, 256mila in Egitto, 60mila in Niger, 20mila in Ciad, 14mila in Algeria. A prendere le carrette del mare verso l’Italia sono state finora 8.124 persone, un numero quindi ridotto, specialmente se paragonato a quello dei paesi sopra menzionati".
Inoltre secondo l’ultimo rapporto UNCHR è in calo del numero di richiedenti asilo nei paesi del mondo industrializzato. L’Italia non fa eccezione e nel 2010 questo trend è continuato con appena 8.200 richiedenti asilo rispetto alle 17.600 domande dell’anno precedente, classificando l’Italia al quattordicesimo posto (con un esiguo 2%) tra le destinazioni d’asilo dei primi 44 paesi industrializzati. “Tale calo va attribuito anche alle politiche restrittive attuate nel Canale di Sicilia da Italia e Libia, fra le quali i respingimenti in alto mare”, si legge in una nota dell’Unhcr e ai decessi in mare dei migranti che la “Fortezza Europa” non riescono neanche a raggiungerla.
Gabriele del Grande sul suo blog Fortress Europe di queste morti ne tiene un drammatico quanto indispensabile conto. “Dal 1994, nel Canale di Sicilia sono morte almeno 5.903 persone, - scrive Del Grande - lungo le rotte che vanno dalla Libia, dalla Tunisia e dall'Egitto verso le isole di Lampedusa, Pantelleria, Malta e la costa sud orientale della Sicilia, ma anche dall'Egitto e dalla Turchia alla Calabria. [...] Il 2011 è l'anno più brutto in termini di tragedie. Dall'inizio dell'anno, tra morti e dispersi, sono scomparse nel Canale di Sicilia almeno 1.615 persone”. Il dato è aggiornato al 2 giugno 2011.
Come spiega la Boldrini anche il “Presidente Giorgio Napolitano in una lettera inviata in risposta alla sollecitazione di Claudio Magris che sulle colonne del Corriere della Sera faceva un’interessante riflessione sull’assuefazione nei confronti di chi muore nel Mediterraneo, ha sottolineato con forza come sia necessario reagire moralmente e politicamente all’indifferenza, ricordando anche che uno dei doveri delle nazioni della comunità europea e internazionale nonché della democrazia, sia anche quello di aprirsi all’accoglienza".
Anche per questo la Giornata del Rifugiato potrebbe essere l’ultima occasione per accogliere questa sensata quanto urgente richiesta che già in aprile l’ACLI, l’ARCI, l’ASGI, la FCEI, la Casa dei Diritti Sociali, il Centro Astalli, la Comunità di Sant'Egidio, il Consiglio Italiano per i Rifugiati e Senza Confine, membri del Tavolo Nazionale Asilo coordinato dall’UNHCR, avevano lanciato per un’immediata evacuazione dei rifugiati provenienti dall’Africa Sub-Sahariana, in particolare dal Corno d’Africa, che si trovano intrappolati in Libia e minacciati da tutte le parti in conflitto, così come di quelli che hanno già raggiunto il confine libico-tunisino e che non hanno possibilità di ottenere un’effettiva protezione in Tunisia. Per il Tavolo Nazionale Asilo il primo dovere della comunità internazionale sarebbe stato “predisporre efficaci corridoi umanitari per evacuare tutti i rifugiati”, magari prima di buttarsi a capofitto nell’ennesima avventura militare senza sbocco, punteggiata dai soliti, numerosi danni collaterali contati tra le strade libiche e le onde del Mediterraneo.
Fonte: http://www.unimondo.org
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