Le testimonianze dei migranti raccolte da MSF in Italia e Tunisia.
Mentre i combattimenti continuano a spingere i civili a fuggire dalla Libia, l’organizzazione medico-umanitaria internazionale Medici Senza Frontiere chiede a tutti gli Stati coinvolti una risposta umanitaria più forte e una protezione efficace per le persone in fuga dal conflitto.
MSF ha raccolto testimonianze che documentano le conseguenze delle scarse condizioni di accoglienza e l’insufficiente protezione fornita nei paesi in cui i civili sono arrivati in cerca della propria salvezza (le testimonianze sono disponibili nel rapporto reso pubblico oggi: “From a Rock to a Hard Place: The Neglected Victims of the Conflict in Libya”in inglese e in italiano).
Più di 600.000 migranti hanno attraversato i confini libici dall’inizio della guerra. Se molti sono già stati rimpatriati ai loro paesi di origine, ancora in migliaia sono bloccati e continuano ad arrivare nelle strutture di transito in Tunisia, Egitto, Italia e Niger.
Nel campo di Shousha in Tunisia, circa 4.000 persone – soprattutto dell'Africa sub-sahariana – non possono essere rimpatriate, principalmente a causa della situazione di pericolo nei paesi di origine. Nel frattempo, 18.000 persone sono approdate sulle coste italiane, rischiando la vita a bordo di imbarcazioni inadeguate e sovraffollate per fuggire dalla guerra.
Da febbraio, le équipe di MSF hanno effettuato più di 3.400 sessioni psicologiche con le persone in fuga dal conflitto, sia in Italia che in Tunisia. Le équipe hanno inoltre raccolto le storie del viaggio di molti pazienti in cerca di una vita migliore. Alcuni erano già stati vittime di violenze nei paesi di origine; molti hanno affrontato situazioni estremamente pericolose nel viaggio verso la Libia. Per molti di loro, la stessa vita in Libia è stata traumatica: sono fuggiti dai bombardamenti della NATO, sono stati presi e trattenuti nelle carceri e nei centri di detenzione libici, a causa della mancanza di documenti o per essere stati respinti indietro nel tentativo di raggiungere l’Europa.
Considerando che la loro libertà di movimento è rigidamente limitata, la collocazione nei campi transitori e di accoglienza equivale ad una detenzione. “Il processo di determinazione di chi ha diritto a ricevere asilo è estremamente lento e molte persone sono disperate all’idea di passare mesi o addirittura anni nei centri”, dichiara Francesca Zuccaro, Capo missione dei progetti di MSF per l'immigrazione in Italia.
Nel campo di Shousha, le condizioni di vita sono inadeguate per una permanenza di lungo termine e la sicurezza è diventata un problema crescente, come dimostrato dai violenti scontri avvenuti nel campo a maggio. Questa violenza ha esacerbato il già diffuso senso di disperazione presente fra le persone del campo. Alcuni hanno tentato la via del mare, rischiando la propria vita, pensando che in Europa l'accoglienza sia migliore.
“Non avendo nessuna prospettiva, dozzine di persone hanno lasciato il campo nei giorni scorsi, pronte a rischiare ancora una volta la loro vita in cerca di un futuro migliore. Questo ci preoccupa molto”, spiega Mike Bates, Capo missione di MSF in Tunisia.
Invocando la lotta contro "l'immigrazione illegale", gli Stati europei corrono il rischio di negare la protezione e il trattamento umano di cui hanno bisogno le persone in fuga, condannandole ad una situazione di incertezza che aumenta la loro sofferenza. L'afflusso di migranti che sbarcano sulle coste italiane non costituisce “immigrazione illegale”, ma una fuga per la sopravvivenza, la salvezza e la protezione.
MSF ricorda a tutte le parti coinvolte nel conflitto e ai paesi vicini le proprie responsabilità, nel rispetto delle leggi internazionali, di tenere aperte le frontiere, offrire protezione a chi fugge dalla Libia e assicurare che le pessime condizioni di accoglienza e la mancanza di protezione possano impedire a rifugiati e richiedenti asilo di cercare una via di salvezza.
Le testimonianze sono disponibili nel rapporto “From a Rock to a Hard Place: The Neglected Victims of the Conflict in Libya” in inglese e in italiano.
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