martedì 28 giugno 2011

I MITI DELL’INDIVIDUALISMO CHE NON TRAINANO PIÙ

Archiviate le figure simbolo dell’autorità (oggi abbiamo un padre ludico, insegnanti delusi, sacerdoti battuti dal soggettivismo etico), i capisaldi della «libertà di essere se stessi» riescono sempre meno a mobilitare gli italiani: meno consumi, meno impresa individuale, meno fiducia in un benessere crescente.

L’eccesso di individualismo e della «libertà di essere se stessi» ad ogni costo ha infranto le figure simbolo dell’autorità: il padre, l’insegnante e il sacerdote. Ma il disagio antropologico di questa fase è dovuto allo stesso tempo al fatto che non funzionano più come in passato i miti trainanti del soggettivismo, che riescono sempre meno a mobilitare gli italiani: la spinta acquisitiva attraverso i consumi, il fare impresa individuale, la fiducia in un benessere sempre crescente.

Il padre ludico. Per più del 39% degli italiani il padre non rappresenta più le regole e il senso del limite all’interno delle famiglie e nel rapporto con i figli (il dato supera il 42% tra le donne, è pari al 45% tra i laureati e al 46% tra gli anziani e tra i residenti nelle grandi città, con oltre 250mila abitanti). Il padre è più presente nelle attività ludiche con i bambini. Quasi l’84% degli uomini in coppia con donne occupate è coinvolto nei lavori familiari in media per 2 ore e 23 minuti al giorno, che significa quasi due giornate lavorative alla settimana (erano il 78% nel 1988 per due ore al giorno). L’incremento del tempo dedicato dai padri alla famiglia è concentrato nelle attività di cura dei bambini, alle quali si dedica oltre il 55% dei padri per un tempo quotidiano medio di 1 ora e 24 minuti, mentre vent’anni fa vi si dedicava il 42% dei padri per un tempo inferiore di oltre 15 minuti. Solo per il gioco con i bambini il tempo dedicato dai padri è maggiore di quello dedicato dalle madri. Il padre ludico può ancora incarnare i «no» che aiutano a crescere?

Gli insegnanti delusi. Il 53% degli insegnanti ha scelto di farlo in ragione di un’aspirazione personale, ma oltre un terzo (il 50% nella scuola secondaria di secondo grado) non rifarebbe la stessa scelta. C’è una profonda insoddisfazione per lo scarso riconoscimento sociale ed economico della professione. Il 69% ritiene che l’insegnamento abbia uno scarso riconoscimento sociale e quasi il 53% che non benefici di una progressione economica. Secondo più dell’82% degli insegnanti non vengono realizzati gli obiettivi della scuola, il primo dei quali consiste nella educazione ai valori e alle regole della convivenza civile. I loro alunni sono connotati dall’arte di arrangiarsi (per quasi il 74% dei docenti), da uno scarso senso civico (69%) e da pressappochismo (68%). Nelle opinioni dei docenti neoassunti della scuola secondaria di secondo grado emergono come principali situazioni problematiche: la promozione della motivazione allo studio degli alunni (per il 54%), il raggiungimento di risultati di apprendimento soddisfacenti (50%) e il mantenimento della disciplina in classe (40%).

I sacerdoti battuti dal soggettivismo etico. Prevale nella società l’idea di una «morale personale», a misura di ciascuno. Più del 78% degli italiani è favorevole all’utilizzo di cellule staminali per fini terapeutici, il 67% alla procreazione assistita, il 53% alla fecondazione eterologa, il 50% alla diagnosi preimpianto. Inoltre, più del 59% è favorevole alla interruzione volontaria di gravidanza e il 53% all’uso ospedaliero della pillola abortiva. Sono dati che testimoniano un allontanamento etico dai precetti della Chiesa, sebbene i sacerdoti attivi nelle 25mila parrocchie italiane abbiano un ruolo centrale nel contrastare il disagio sociale. Contano come risposta ai bisogni sociali, ma non nella diffusione dei valori etici.

I miti del soggettivismo che non trainano più. Con la crisi delle figure di riferimento, l’individuo è rimasto solo. Ma oggi non funzionano più neanche quei miti fondamentali che hanno trainato lo sviluppo economico e sociale del Paese negli ultimi decenni all’insegna del soggettivismo spinto.

La cavalcata consumerista appare oggi in declino. Più del 57% degli italiani ha la sensazione che, al di là dei problemi di reddito, rispetto a qualche anno fa nella propria famiglia c’è un desiderio meno intenso di acquistare beni e servizi. È un processo che parte da lontano. Il tasso medio annuo di crescita reale dei consumi si è progressivamente ridotto nei decenni: +3,7% negli anni ’70, +2,7% negli anni ’80, +1,6% negli anni ’90, +0,2% negli anni 2000. Nel 2010 le famiglie italiane hanno avuto consumi ridotti in termini reali di 1.602 euro rispetto al 2007: come se le famiglie fossero rimaste senza consumare per circa 20 giorni in un anno.

Cala poi l’attrazione del «mai sotto padrone». Tra il 2004 e il 2009 il numero di imprenditori è passato da 400mila a 260mila, con una riduzione del 36%. E il numero dei lavoratori autonomi con meno di 35 anni è diminuito nello stesso periodo di circa 500mila unità.

Non traina più neanche la fiducia nella mobilità sociale che conduce a un benessere crescente. Il 34% degli italiani pensa che la generazione dei figli è destinata ad avere uno status socio-economico peggiore del proprio (mentre solo il 18% di essi vive oggi in una condizione peggiore rispetto ai propri genitori). Il 67,5% ritiene che in futuro l’Italia sarà meno benestante di oggi.


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