mercoledì 15 dicembre 2010

WIKILEAKS, CYBERGUERRA CONTINUA

Dopo qualche dissenso, l’attacco informatico dei difensori di Julian Assange ai siti anti-WikiLeaks è ripreso. Ma ora devono fare i conti con il contrattacco dei suoi detrattori. Le 50 rilevazioni più interessanti del Cablegate

di Giulia Belardelli


Qui le 50 rivelazioni più interessanti del Cablegate. 

Dopo aver conquistato le prime pagine dei giornali di mezzo mondo, i vendicatori di WikiLeaks - le migliaia di persone che tra mercoledì e venerdì hanno attaccato giganti dei pagamenti come Visa, Mastercard e PayPal – hanno momentaneamente deposto le armi, finiti a loro volta nel mirino di contro-attacchi informatici. A sferrare una serie di attacchi DoS (la cosiddetta Operazione Payback) contro le compagnie che hanno deciso di chiudere le porte all’organizzazione gestita da Julian Assange è stato un gruppo chiamato Anonymous, che per organizzarsi ha utilizzato soprattutto le chat-room di anonops.net . Proprio questi canali sono stati il bersaglio di contro-attacchi nella giornata di venerdì: come riferisce Wired.com, se giovedì in un’unica chat c’erano più di duemila partecipanti, il giorno successivo la connessione è riuscita a meno di cento persone. Gli autori della contro-operazione – per ora ancora senza nome – hanno fatto apparire più volte il messaggio: “ Ciò che state facendo è illegale. Smettetela immediatamente perché avete rotto. Anche Wikileaks ha rotto”. Ma ora i pro-WikiLeaks hanno spostato l’attenzione su altri siti: quelli del Governo britannico e quello della prigione in cui è detenuto Assange. 

Secondo anonops.info, l’Operazione Payback sta soffrendo al tempo stesso della sua popolarità e di attacchi esterni, ma anche del fatto che il provider Dns del sito, ENOM, ha tagliato i servizi al dominio che ospitava le chat, indebolendone di fatto la struttura. Intanto, in una situazione sempre più confusa, sono comparsi in rete alcuni comunicati a nome del gruppo, in cui si cercano di definite strategie e obiettivi.  

Uno, per esempio, ritorna sulla questione del tentato attacco ad Amazon.com, anch’esso colpevole di aver voltato le spalle a WikiLeaks. Nei giorni scorsi si era detto che il sito della compagnia statunitense era finito nel mirino degli hacker pro-WikiLeaks, ma che si era salvato grazie alla sua “robusta infrastruttura”. In questa dichiarazione, per esempio, gli autori spiegano che il mancato attacco ad Amazon è dipeso da una scelta ben precisa: non bloccare un grande canale commerciale a ridosso delle feste natalizie, un fatto che sarebbe potuto sembrare “ di cattivo gusto” ai consumatori. 

Il comunicato precisa anche che “ l’obiettivo dell’Operazione Payback non è mai stato quello di colpire infrastrutture critiche delle compagnie sotto attacco. Il focus dell’operazione, piuttosto, ha riguardato i loro siti web aziendali, vale a dire il loro volto pubblico sulla rete. Si tratta di un’azione simbolica – come ha detto il blogger e accademico Evgeny Morozov – una legittima espressione di dissenso”.  

 L’operazione, come sottolinea Wired.com, non è stata condotta da un network di hacker professionisti, ma da migliaia di partecipanti che hanno inondato di richieste i siti di Visa, Mastercad e PayPal senza dover ricorrere al download di un programma particolare, grazie a una versione JavaScript di LOIC ( Low Orbit Ion Cannon).   

 In un’altra press release, ripresa da BoingBoing giovedì notte, un sedicente membro degli Anonymous annuncia che il gruppo ha intenzione di cambiare strategia, abbandonando gli attacchi DdoS per concentrarsi sui documenti stessi. In particolare, i membri avrebbero intenzione di dare più visibilità alle rivelazioni finora rimaste nell’ombra, creando video e articoli su queste storie e poi “ bombardare la Rete” – a cominciare da YouTube – con i link ai contenuti. 

Nel mentre si fa strada l’idea di un nuovo sito di rivelazioni, cui starebbero lavorando alcuni dei disertori illustri di Wikileaks. A fornire le indiscrezioni più consistenti è il giornale svedese Dagens Nyheter (DN). Secondo alcune fonti anonime, il progetto si chiamerebbe OpenLeaks e potrebbe partire già questa settimana. Si tratterebbe di una sorta di anti-WikiLeaks: un sito di rivelazioni diverso dall’organizzazione di Assange per alcuni, importanti aspetti. “ Nel lungo periodo, il nostro obiettivo è costruire una piattaforma solida e trasparente per supportare gli informatori – sia dal punto di vista della tecnologia che delle politiche – incoraggiando nello stesso tempo altri ad iniziare progetti simili”, ha detto la fonte. “ Nel breve periodo, le priorità sono il completamento dell’infrastruttura tecnica e l’impegno affinché l’organizzazione continui a essere gestita democraticamente da tutti i suoi membri, piuttosto che essere limitata a un gruppo o individuo”. La stoccata a Julian Assange, spesso dipinto come un capo autoritario e individualista, non ha bisogno di commenti. Soprattutto se si tiene conto che dietro l’esperimento ci sarebbe – sempre secondo DN – Daniel Domscheit-Berg, l’attivista tedesco famoso alle cronache per aver lasciato Wikileaks mesi fa a causa di divergenze sempre più marcate con il suo fondatore. Altre differenze riguarderebbero infine “ l’assenza di un’agenda politica” e l’intenzione di limitare l’accesso ai leaks a determinati soggetti come associazioni no-profit, media e altri soggetti competenti, cui spetterebbe poi la decisione in merito alla pubblicazione.

di Giulia Belardelli



Tratto da: http://daily.wired.it/
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