mercoledì 1 dicembre 2010

PERCHÉ NON SERVE IL VINCOLO SUL DEBITO

di Alessandro Fontana
L'accordo tra i ministri dell'Economia e delle Finanze dei paesi dell'area euro sulla riforma del Patto di stabilità e crescita ribadisce che sarà rafforzato non solo il vincolo sul deficit ma anche quello sul debito. Che però sono legati fra loro. E dunque una adeguata diminuzione del primo è condizione sufficiente per ridurre il secondo. Mentre un irrigidimento del vincolo sul debito potrebbe avere diversi effetti negativi e non serve neanche a rassicurare i mercati

L’accordo tra i ministri dell’Economia e delle Finanze dei paesi dell’area euro sulla riforma del Patto di stabilità e crescita ribadisce che sarà rafforzato non solo il vincolo sul deficit, ma anche quello sul debito. E le sanzioni scatteranno anche nel caso in cui quest’ultimo non si riduca in modo adeguato.

La motivazioni addotte per questa scelta sono quelle sottolineate da Marco Buti e Martin Larch: prima e soprattutto nel corso della crisi, la dinamica del debito pubblico è stata guidata in misura sempre maggiore da fattori diversi dal deficit e il parametro del 3 per cento del Pil sul deficit non sarebbe più sufficiente a garantire un calo del rapporto debito/Pil. 
  
DEFICIT E DEBITO SONO SEMPRE MENO LEGATI TRA LORO? 

In un contesto di questo tipo non è sicuro che imporre sia un vincolo sul deficit sia uno sul debito abbia senso. Se deficit e debito sono legati, una adeguata diminuzione del primo è condizione sufficiente per ridurre il secondo (sempre che non vi siano altre crisi bancarie) e costituisce la via principale per farlo. A conferma di ciò diversi economisti (Paolo Manasse, Giuseppe Pisauro) si sono affrettati, per l’Italia, a tradurre la regola sul debito in termini di deficit.

Un vincolo aggiuntivo sul debito avrebbe invece l’effetto di bloccare per il futuro ogni possibilità di sostegno alle banche che fossero in difficoltà (per i paesi con debito oltre la soglia del 60 per cento del Pil, circa la metà dei 27). Dal punto di vista dei contribuenti, questo sarebbe certamente auspicabile ma, per quanto la nuova regolamentazione sia restrittiva, non è da escludere che in futuro sia necessario aiutare di nuovo le banche e finché non si elabora una soluzione alternativa, temo che toccherà ancora ai governi farlo.

Inoltre, non sembra logico imporre il vincolo sul debito per quei paesi che lo hanno aumentato solo per effetto del sostegno alle banche. Li costringerebbe a cedere il più in fretta possibile i titoli acquisiti per ridurre il debito pubblico e non incorrere nelle sanzioni, senza tener conto del momento più conveniente per farlo. Le passate crisi bancarie mostrano che i tempi di recupero dei capitali pubblici erogati alle banche sono molto diversi tra paesi e nelle diverse crisi. (1)

Il rischio è che per non incorrere nelle sanzioni, i governi siano obbligati a svendere le partecipazioni.

D’altra parte, l’obiettivo ultimo del Patto deve essere quello di prevenire gli effetti negativi che conti pubblici fuori controllo possono produrre nel singolo paese in difficoltà e negli altri paesi membri. Il principale tra questi è l’aumento dei tassi di interesse legato al rischio di insolvenza degli Stati. Le analisi empiriche mostrano che l’aumento del debito ha effetti molto inferiori sul tasso di interesse di quanto non ne abbia il deficit. (2)
 
A conferma di ciò, quest’anno, lo spread nel rendimento dei titoli di Stato a dieci anni rispetto al rendimento dei Bund tedeschi è cresciuto in Irlanda, Portogallo e Spagna, molto più di quanto non sia cresciuto in Italia. Ma il debito pubblico di Irlanda, Portogallo e Spagna è molto inferiore al debito italiano. Viceversa, tutti e tre i paesi hanno registrato nel 2009 deficit molto più consistenti dell’Italia.
 
Forse è sufficiente rendere più stringente il vincolo sul deficit, come ha correttamente proposto la Commissione, soprattutto nelle fasi cicliche positive. Si possono prevedere sanzioni più onerose, per i paesi che violano il limite sul deficit avendo un debito pubblico oltre la soglia del 60 per cento. Sembrerebbe una soluzione più razionale di quella sinora prospettata.
 
(1) Negli Usa, la vendita delle partecipazioni negli istituti finanziari acquisite nel 2008-2009 è stata avviata da tempo e sta fruttando elevate plusvalenze, ma ha riguardato solo le partecipazioni il cui valore di borsa era superiore all’investimento pubblico iniziale. Le altre partecipazioni verranno tenute sino a quando non risulti conveniente venderle (per questa ragione non sono state ancora vendute le partecipazioni acquisite in City).
 
(2) Le ultime stime del Fondo monetario indicano che per un aumento di un punto di Pil del deficit si registra, nel medio periodo, un aumento di 20 punti base nei rendimenti dei titoli di Stato mentre un identico aumento nel rapporto debito/Pil fa crescere il rendimento di soli 5 punti base (IMF, The state of public finances cross country. Fiscal monitor: November 2009).
di Alessandro Fontana

Fonte: http://www.lavoce.info/

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