lunedì 14 marzo 2011

MAFIA, AFFARI E POLITICA IN LOMBARDIA: 35 ARRESTI. LE TELEFONATE TRA LELE MORA E I BOSS

In manette 35 persone. La 'ndrangheta sponsorizzava campagne elettorali e controllava le spedizioni di Tnt. L'avvocato Giuliante, tesoriere Pdl ed ex difensore di Ruby, era in affari con il boss Martino.

Campagne elettorali organizzate e seguite dai boss. Il controllo dei locali notturni, della distribuzione della Tnt (ex Traco) e soprattutto continue telefonate tra Paolo Martino, il capobastone inviato dalle ‘ndrine in Lombardia per gestire i business più importanti, e Lele Mora (non indagato), il manager accusato di sfruttamento della prostituzione per aver portato decine di ragazze ad Arcore. Sono alcuni degli aspetti evidenziati dalla nuova inchiesta su mafia politica e affari al nord che questa mattina mattina ha fatto scattare le manette ai polsi di 35 persone. Tutti uomini che avevano avevano come punti di riferimento i tre boss Pepé Flachi, Paolo Martino e Giuseppe Romeo. L’operazione  è stata condotta dal nucleo di Polizia tributaria della Guardia di Finanza di Milano, dei Carabinieri del Ros, in collaborazione con la Polizia locale. E sono stati sequestrati anche beni per due milioni di euro.

Le ordinanze di custodia cautelare sono state disposte dal gip Giuseppe Gennari su richiesta della dda milanese. Gli arrestati sono indagati per associazione per delinquere di stampo mafioso, estorsione, minacce, smaltimento illecito di rifiuti e spaccio di sostanze stupefacenti. 

L’operazione è coordinata dal procuratore aggiunto Ilda Boccassini, insieme ai pm Alessandra Dolci, Paolo Storari e Galileo Proietto. E spiega bene anche perché proprio Ilda Boccassini si sia occupata del caso Ruby, la minorenne marocchina che, secondo l’accusa, si è prostituita con il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi. 

Le telefonate di Giuliante – Il boss Martino, secondo gli investigatori, era di fatto socio di Luca Giuliante (non indagato), tesoriere del Pdl lombardo, avvocato di Mora, del presidente della regione, Roberto Formigoni e anche di Karima El Mahroug, meglio conosciuta come Ruby Rubacuori. Agli atti ci sono telefonate in cui Giuliante si occupa di una gara d’appalto a cui era interessata la  famiglia di costruttori calabresi Mucciola. Dalle carte emerge una spaventosa capacità dell’organizzazione criminale d’infiltrarsi nelle realtà economiche e politiche milanesi. Secondo gli investigatori la famiglia del celebre boss Pepé Flachi avrebbe seguito l’ultima campagna elettorale del consigliere regionale Pdl Antonella Majolo, sorella delle più celebre Tiziana, già assessore comunale a Milano. 

Giuliante racconta al cronista de Il Giornale la sua versione sui contenuti delle sue telefonate con Paolo Martino: ”E’ un episodio, se ben ricordo, che risale a due anni fa. Questo Martino mi venne presentato da Lele Mora, che era in contatto con lui per l’organizzazione di alcune serate in Calabria. All’epoca facevo parte della commissione aggiudicatrice di un appalto per l’allargamento del Pio Albergo Trivulzio. Martino mi venne a trovare chiedendomi se potevo fare qualcosa per agevolare una azienda a lui vicina. Io lo ricevetti e con estrema cortesia gli spiegai che non potevo fare assolutamente nulla, anche perché la gara d’appalto era già stata chiusa". 

Il controllo sull’azienda di spedizioni – La ‘Ndrangheta gestiva anche i servizi di distribuzione per la Lombardia della Tnt (ex Traco), società che si occupa anche della consegna di pacchi e posta. Secondo il provvedimento del giudice, la Tnt aveva dato in subappalto a consorzi e cooperative di trasporto (con proprietà dei camion) i servizi di recapito di plichi. Ed è proprio di questi servizi che la ‘Ndrangheta avrebbe assunto il controllo, secondo l’inchiesta della dda, da almeno due anni; anche se da alcune intercettazioni tra Pepe Flachi con il figlio emerge che la criminalità organizzata ha infiltrazioni da almeno un ventennio nella società di spedizione e consegne pacchi in Lombardia. 

I summit all’ospedale –  Le riunioni tra Martino e la famiglia Flachi avvenivano in un ufficio dell’istituto ortopedico Galeazzi, dove due capisala calabresi si preoccupavano che i vertici di mafia avvenissero lontano da occhi indiscreti.



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