Per bloccare i referendum contro la privatizzazione dell’acqua il governo si appresta a varare un decreto legge, come già fatto per il quesito riferito al nucleare.
Sono giunte a segno le esplicite richieste avanzate dalle aziende private che gestiscono l’erogazione dell’acqua, estremamente preoccupate dai sondaggi che pronosticano il raggiungimento del quorum e la vittoria dei sì.
L’unico ostacolo davanti ai nostri ‘prenditori bollettari’ in un periodo di crisi economica che non accenna a finire, per appropriarsi di questi profitti è proprio il referendum.
La privatizzazione delle risorse idriche ha subito una pesante accelerazione a partire dalla riforma del 2008, con il decreto Ronchi, che impone l’affidamento di tutti i servizi pubblici alle imprese private entro la fine dell’anno costringendo gli enti locali a scendere sotto il 40% della proprietà.
In ballo c’è la corsa alla spartizione di una torta che vale oltre 64 miliardi di euro!
A tanto ammonta infatti il business dell’acqua, che comprende sia la riscossione delle bollette che la gestione degli investimenti per riorganizzare le rete idrica e gli acquedotti che saranno finanziati in parte dallo Stato, per un 14% stimato, e per il resto da noi utenti tramite le stesse bollette per le quali si prevede un ulteriore aumento del 18%.
I privati non ci mettono un soldo, non rischiano niente e si beccano tutti i profitti!!!
Non che la privatizzazione dell’acqua sia una novità, da una parte la Legge Galli fin dal ‘94 ne ha tolto la gestione agli enti locali, dall‘altra la grande ondata delle liberalizzazioni degli anni 90, propugnate con gran forza dai governi di centro sinistra, ha consegnato ai privati e alla speculazione le aziende municipalizzare trasformate in SPA e collocate sul mercato.
A goderne sono stati le grandi multinazionali dell’oro blu insieme a finanzieri nostrani e imprenditori pronti a guadagnare senza rischiare; a pagare sono stai gli utenti con l’aumento negli ultimi 8 anni del 65 % delle tariffe e con uno scadimento del servizio tale che in molti comuni la qualità dell’acqua non solo è peggiorata ma spesso la sua erogazione è sospesa per gran parte della settimana, come avviene in Calabria in città in cui il servizio è gestito dalla multinazionale francese VEOLIA.
Confindustria non vuole perdere il business dell’acqua, che fa gola agli industriali perché è protetto e finanziato ( e non da loro).
Per capire meglio basta andare a vedere cosa succede nell’ex municipalizzata di Roma, principale corporation dell’acqua in Italia.
La settimana scorsa, mentre il presidente di Federutility a gran voce premeva per un provvedimento che bloccasse i 2 referendum, l’assemblea dei soci di ACEA ATO 2 , che gestisce il servizio nella provincia di Roma, annunciava per il solo 2010 un utile record di 58,9 milioni di euro.
Ebbene non un solo euro di questi dividendi è stato destinato agli interventi urgenti sulle reti idriche - nonostante l’emergenza arsenico scoppiata nei mesi scorsi a causa dei mancati lavori in molti comuni del Lazio serviti dall’ACEA - eppure uno degli argomenti da sempre più portati a sostegno della privatizzazione è quello che la gestione pubblica non garantisce né la ristrutturazione della rete né la manutenzione degli acquedotti!!
I soci Caltagirone, la francese SUEZ e il Comune di Roma si sono spartiti questi profitti, che derivano direttamente dalla sopracitata Legge Galli che ha stabilito un 7% di rendimento puro garantito al gestore.
E’ anche per l’ abrogazione di questa legge che sono state raccolte oltre 1.400.000 firme, oggetto del secondo referendum per l’acqua pubblica, teso ad impedire che il servizio pubblico passi completamente nelle mani di speculatori nostrani e internazionali.
USB Unione Sindacale di Base
Fonte: http://confederazione.usb.it/index.php?id=20&tx_ttnews[tt_news]=29655&cHash=91a429d9d8&MP=63-552
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