La battaglia internazionale al cambimento climatico potrebbe scontrarsi con la corruzione. E' il timore che Transparency International manifesta nel suo ultimo rapporto: se la politica non si mobilita, può capitare che somme enormi di danaro si disperdano in mille rivoli oscuri.
Chi ha difficoltà con gli zeri, lasci perdere. Sono davvero tanti quelli che compongono le cifre destinate a proteggere il mondo dai danni del clima. Secondo il progetto attuale, 100 miliardi di dollari dovrebbero fluire ogni anno dai Paesi ricchi a quelli poveri, fin dal 2012. Pur che sia, pur di convertire l'economia mondiale di oggi in un'altra con meno CO2, e anche per salvaguardare i più poveri tra i poveri dagli effetti comunque ineliminabili del mutamento climatico.
Ma le 400 pagine del rapporto dell'organizzazione Transparency International (TI) avvertono che la corruzione può mettere a repentaglio qualsiasi sforzo, il più necessario e delle migliori intenzioni. "Quando grandi somme di denaro transitano per mercati finanziari e meccanismi ancora nuovi, c'è sempre il rischio di corruzione", si legge nel Global Corruption Report Climate Change presentato il 30 aprile. Ecco perché è necessario rafforzare gli strumenti di controllo.
Bisogna guardare al mastodontico rapporto, redatto da oltre 50 autori di 20 Paesi, come a un colpo sparato in aria, a un test per attirare l'attenzione dei diplomatici del clima. Essi, nelle loro lunghe riunioni, di solito non si occupano di questo tema. Trattano soprattutto quesiti tecnici: chi è autorizzato a rilasciare molti CO2? Quanto e quale aiuto ricevono coloro la cui esistenza è minacciata dal surriscaldamento terrestre?
Ma questo non basta, sostengono i paladini anticorruzione: "Il cambiamento del clima è il problema più devastante del nostro tempo", dice Huguette Labelle, direttrice di Transparency International parlando con Spiegel online. "Se nel contrastarlo non stiamo attenti, le risorse messe a disposizione non arrivano dove vorremmo".
Labelle ha scelto un luogo emblematico per presentare il suo grido d'allerta: Dhaka, la capitale del Bangladesh. Nella graduatoria dei Paesi che TI ha stilato contro la corruzione, il Bangladesh ha appena 3,4 dei 10 punti assegnabili, ossia è nella casella 134. Solo altri 40 Stati hanno un punteggio ancora peggiore. Nel contempo il Bangladesh deve battersi contro la sovrappopolazione e il livello del mare che continua a salire.
Anche altrove esiste una situazione precaria simile. Nessuno dei 20 Paesi più colpiti dal cambiamento climatico supera i 3,6 punti della graduatoria TI. Per dare un'idea: la Germania, con 7,9 punti occupa la casella 15; la Danimarca è capofila con 9,3 punti.
Gli Stati corruttibili rappresentano una grossa sfida per il flusso di denaro dei fondi internazionali sul clima, dice il rapporto. Tra i motivi: i progetti edilizi e di forniture sono di per sé considerati a rischio corruzione. Ed è proprio in questi settori che dovrebbero arrivare molti soldi per far fronte al cambio climatico. Bisogna innalzare le dighe, scavare canali per far defluire l'acqua, costruire impianti eolici e solari. Sembra quasi inevitabile imbattersi nella corruzione anche quando serve produrre biocarburante in grande quantità o incrementare le materie prime essenziali all'energia verde.
Fondi a macchia di leopardo
Dato che molti degli strumenti internazionali di aiuto sono nuovi, i problemi non si possono escludere. La sfida maggiore potrebbe venire dai finanziamenti a breve termine, i "fast track mechanism" (corsie preferenziali) secondo il gergo diplomatico sul clima. Per questo tipo di ripartizione manca l'esperienza. Certo, da qualche parte si deve pur cominciare se l'intenzione di aiutare chi ha bisogno è seria. Purtroppo è anche vero che il mercato Ue dei certificati CO2 è scosso dagli scandali di corruzione, il Clean Development Mechanism dell'Onu è facilmente aggirabile, e così via.
Inoltre, il rischio di abusi è rafforzato dal fatto che già oggi esistono per questo tipo di aiuti dei serbatoi a macchia di leopardo -molti dei quali piuttosto mal riempiti: presso la Banca mondiale; l'Onu; in alcuni Stati e gruppi. Questi fondi di finanziamento seguono filosofie diverse, regole diverse, sistemi diversi di vigilanza, per cui nessuno oggi ha un'idea chiara della situazione. E altri fondi si aggiungeranno. Proprio nei giorni scorsi, esperti dell'Onu hanno discusso in Messico con quali regole dovrà lavorare il nuovo Green Climate Found, che dovrà essere pronto entro fine anno e presentato al vertice del clima di Durban.
Chi nei Paesi industrializzati è contrario a questi aiuti, potrebbe sfruttare il rapporto dei paladini anticorruzione per irrobustire le proprie ragioni: -gli statunitensi sono ancora scossi dalla crisi, i Paesi dell'euro idem, per non parlare del Giappone dopo il terremoto, lo tsunami e Fukushima. Oltre tutto, finora sono stati pochi i soldi utilizzati per proteggerci dal clima. Se poi c'è anche un problema di corruzione dei Paesi beneficiari, non sarebbe meglio risparmiare quel denaro? In fin dei conti ci sono cose più importanti da fare-.
"No", ribatte Huguette Labelle. "Noi diciamo con chiarezza che i soldi preventivati sono necessari, anzi, ce ne vorrebbero di più". Solo che occorre avere da subito gli strumenti politici atti a ridurre al minimo il malaffare. Osserva che è possibile che certe lobby abusino del documento di TI: "Le persone che vogliono bloccare un'azione, userebbero qualsiasi rapporto per il loro scopo".
Quali voci domineranno la discussione -le isteriche o le ragionevoli- lo si vedrà nelle prossime settimane. La risposta al quesito sui meccanismi politici di sorveglianza, attesa da tanto tempo, potrebbe venire dalle accese discussioni internazionali sul clima. Gli Stati ricchi dovranno mettersi d'accordo su quanta corruzione sono disposti a mettere nel conto.
Lo sa anche il ministro norvegese dell'Ambiente, Erik Solheim. Il suo Paese, ben fornito di soldi derivati dalla vendita di petrolio e gas, promuove progetti milionari di tutela delle foreste in tutto il globo -in Tanzania, Brasile, Indonesia, Repubblica democratica del Congo, Guyana, tutti Stati non esattamente modelli di lotta alla corruzione. E tuttavia, ha avvertito Solheim il 30 aprile a Oslo, è proprio in quei Paesi che deve andare il denaro, e alla svelta.
"Se aspettiamo che il Congo diventi come la Svizzera -c'è corruzione anche in Svizzera, ma molto meno- allora lì non crescerà più neanche un albero".
(articolo di Christoph Seidler per Der Spiegel del 30-04-2011. Traduzione di Rosa a Marca)
Fonte: http://www.aduc.it/
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