Bancel/ICBA: «Il modello cooperativo sopravviverà a Basilea III. Lottiamo per questo».
Si è chiuso oggi a Torino JOIN FOR CHANGE, il laboratorio di dialogo tra finanza e società promosso dal Gruppo Abele, dal consorzio finanziario per il microcredito Etimos e da Etimos Foundation.
Nella recente crisi, il modello bancario cooperativo ha costituito un elemento di stabilità e sicurezza finanziaria per milioni di persone in Europa, dimostrando una notevole capacità di tenuta all'interno del devastato sistema finanziario. Il ruolo giocato dalla co-operative finance e le sue prospettive è stato al centro dell'ultima tappa di “Join for Change, Compartimos 2011”, la tre giorni dedicata alla finanza nel suo legame necessario e imprescindibile con la società, promossa dal Gruppo Abele, dal consorzio finanziario per il microcredito Etimos e dalla neonata Etimos Foundation, che si è chiusa oggi a Torino. Cuore del dibattito, i requisiti imposti alle banche da Basilea III in termini di rafforzamento del patrimonio e di maggiori vincoli operativi: requisiti che mettono “a rischio” il futuro dei piccoli e medi istituti di credito, a partire appunto da quelli cooperativi.
In un modello finanziario come quello cooperativo infatti - basato su una governance democratica (“una testa e un voto”) in cui i soci, che sono al tempo stesso anche clienti, destinano parte del surplus annuale allo sviluppo della cooperativa -, si tratta di vincoli capestri. A porlo all'attenzione con forza è stato Jean-Louis Bancel, presidente di ICBA (International Co-operative Banking Association) e di Crédit Coopératif (principale gruppo bancario cooperativo francese): «La maggior parte delle banche cooperative distribuisce solo una parte del final benefit: il rimanente è trattenuto all'interno, anche per tutelarsi in caso di congiunture economiche negative; non a caso nel report sul co-operative banking pubblicato dall'IMF prima della crisi, i nostri istituti venivano definiti come sovracapitalizzati. Non è ancora chiaro, ad oggi, se le azioni dei soci saranno o meno considerate parte del capitale delle banche cooperative: secondo noi, il fatto che non remuneriamo i soci con la totalità del profitto non significa che le nostre azioni non siano vere azioni».
In Europa la finanza cooperativa controlla il 20% circa del mercato bancario dei depositi e vanta intorno al 20% del market share per gli impieghi (dati ICBA). La presenza è particolarmente significativa in Francia, con una fetta di mercato pari a circa il 60% e al 50% rispettivamente per depositi e impieghi; segue l'Olanda con una quota depositi superiore al 40% e impieghi di circa il 30%. Al terzo posto l'Italia, dove queste percentuali si attestano intorno al 35% e al 30%. È un modello che ha retto molto bene alla crisi finanziaria, non solo nelle economie avanzate ma anche in quelle emergenti e nei paesi in via di sviluppo, dove esistono casi in cui «gli istituti cooperativi sono stati gli unici a sopravvivere, continuando a erogare prestiti ai loro soci mentre le banche tradizionali chiudevano i rubinetti dell'accesso al credito. Le nostre, invece, hanno superato con facilità questo difficile momento, senza ricapitalizzare o riccorrere all'aiuto dei governi» ha testimoniato oggi a Join for Change Jean Bernard Fournier, vicedirettore generale di DID (Développement International Desjardins). «Nei paesi in via di sviluppo, che per il loro ritardo sono soggetti più degli altri all'interdipendenza o meglio alla dipendenza dal sistema finanziario globale – ha aggiunto -, il modello bancario cooperativo rimane fondamentale per una crescita basata sulle risorse interne. La soluzione cooperativa, che ai più suona come sorpassata, è di fatto la strada da seguire, perché salvaguarda la biodiversità del sistema finanziario, vera garanzia contro le crisi globali. È un po' come nella storia del coniglio e della tartaruga: la seconda va più lenta della prima, certo, ma arriva più lontano e sopratutto ci arriva sana e salva».
Il futuro della finanza cooperativa riguarda anche le banche etiche, che «devono rimanere esperienza di frontiera, continuando a intercettare i nuovi bisogni che emergono dalla società» ha spiegato Fabio Salviato, presidente di FEBEA (Federazione Banche etiche e alternative europee) e del suo braccio operativo SEFEA (Società europea finanza etica e alternativa). «La moltiplicazione del sistema e dei controlli di Basilea III ci impone di puntare allo sviluppo di prodotti dedicati, più svincolati perché meno strutturati». FEBEA riunisce 24 soci (fra banche o società finanziarie) ed è presente in 14 paesi europei, con una raccolta pari a 25 miliardi di euro, l'80% dei quali costituiscono gli impieghi (destinati esclusivamente ad attività sociali). Una strategia, quella dei prodotti ad hoc, che va perseguita da subito: «Dopo aver avviato nel 2010 “CoopEst” rivolto ai paesi dell'Est Europa - ha annunciato Salviato - il prossimo mese lanceremo “CoopMed”, un fondo destinato a sostenere la microfinanza nel Mediterraneo».
«Occorre creare opportunità di crescita, sviluppo e progresso umano attraverso un forte investimento sul mercato sociale» ha affermato Pierluigi Stefanini, presidente Unipol Gruppo Finanziario «con una straordinaria azione combinata, coordinata e convergente, che risponda ai bisogni e combatta le ingiustizie rispetto a diritti come sanità, previdenza e istruzione. Si tratta di settori economici dalle grandi possibilità di sviluppo del business». Unipol è l'esempio che questo è possibile: nato per tutelare i lavoratori che non avevano la disponibilità economica di sottoscrivere coperture assicurative, è oggi un player importante del mercato e ha saputo crescere nei campi della previdenza e della sanità. «Vogliamo contribuire allo sviluppo di un mercato libero, democratico, trasparente e responsabile. Occorre uno sforzo da parte di tutti, per elaborare strumenti più efficaci a servizio di imprese, organizzazioni e istituzioni, aiutandole ad essere sostenibili da un punto di vista economico, ambientale e sociale. Oggi è difficile rovesciare l'approccio mainstream e pensare che dal sociale si possa costruire il benessere economico, ma il bello dell'esperienza cooperativa è proprio questo: essere un soggetto che azzarda, che porta avanti una visione coraggiosa, attenta al futuro dei cittadini».
«Il dibattito di questi tre giorni ci ha confermato che legalità, sostenibilità e cooperativismo rappresentano approcci diversi al grande tema della finanza, accumunati però da un unico grande obiettivo: concorrere allo sviluppo di un sistema economico che garantisca una reale prospettiva di crescita sociale, equa e diffusa, e insieme la tutela delle risorse naturali del pianeta» ha chiosato Marco Santori, presidente di Etimos Foundation a conclusione dei lavori.
Consorzio Etimos e Etimos Foundation sono rispettivamente un consorzio finanziario internazionale e una fondazione di partecipazione, entrambi con sede centrale a Padova, che si occupano da decenni di economia sociale, finanza per lo sviluppo e microfinanza. Riuniscono una base sociale ampia ed eterogenea, in Italia e all'estero: istituti bancari di matrice cooperativa e sociale, istituzioni di micro finanza attive nei paesi in via di sviluppo, cooperative di produzione legate ai circuiti dell’equosolidale e del biologico, attori della cooperazione, diocesi e istituti religiosi, associazioni e Ong. Anche per questo nelle loro attività, operative e culturali, si caratterizzano per una prospettiva internazionale e un approccio che privilegia il confronto tra una pluralità di posizioni, piuttosto che una loro sintesi a priori.
Gruppo Abele è un'associazione nata a Torino nel 1965 attorno a Don Luigi Ciotti. Il suo impegno è di cercare di saldare accoglienza, cultura e politica. Per questo la vicinanza a chi è in difficoltà si accompagna con lo sforzo per rimuovere gli ostacoli che creano emarginazione, disuguaglianza e smarrimento. Attualmente l'operatività del Gruppo Abele si articola in circa sessanta attività diverse. Fra queste, servizi a bassa soglia, comunità per problemi di dipendenza, spazi di ascolto e orientamento, progetti di aiuto alle vittime di tratta e ai migranti e uno sportello di mediazione dei conflitti. E ancora un centro studi e ricerche, una biblioteca, un archivio storico, una libreria, due riviste, percorsi educativi rivolti a giovani, operatori e famiglie. Il Gruppo Abele anima inoltre progetti di cooperazione allo sviluppo in Africa e un consorzio di cooperative sociali che dà lavoro a persone con storie difficili alle spalle.
Fonte : http://www.gruppoabele.org
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