Dagli esperti del settore la richiesta di commitment politico e maggior tracciabilità dei capitali verdi veicolati tramite private equity e venture capital.
Cresce in Italia la finanza sostenibile, con gli investimenti in fondi socialmente responsabili e nelle tecnologie green che, rispecchiando la tendenza internazionale, hanno tenuto di fronte alla crisi, non avendo registrato significative battute d'arresto.
La green revolution nel suo rapporto con gli strumenti finanziari è stata al centro della seconda giornata di Join for Change, l'appuntamento dedicato alla finanza nel suo legame imprescindibile con la società, ospitato a Torino, da mercoledì 11 a venerdì 13 maggio nella sede del Gruppo Abele, che lo promuove assieme a Etimos Foundation.
Dopo l'apertura di ieri che ha analizzato il tema dal punto di vista della legalità (tra i relatori, oltre a Don Luigi Ciotti, il procuratore capo della Repubblica di Torino Gian Carlo Caselli), la giornata di oggi ha ripercorso l'evoluzione della green finance nel nostro Paese: dall'approccio esclusivo che in passato si opponeva al coinvolgimento di “settori controversi” (un esempio per tutti, quello dei combustibili fossili), a strategie di investimento associate a un'offerta di prodotti "best-in-class". Lo ha spiegato bene Gianluca Manca, responsabile sostenibilità e non-profit Italia e estero di Eurizon Capital-Gruppo Intesa Sanpaolo, che produce e distribuisce in Italia fondi socialmente responsabili dal 1997: «Per stabilire su chi investire, applichiamo criteri di esclusione per rispondere alle esigenze degli investitori più intransigenti, ma nello stesso tempo ci apriamo anche ai cosiddetti settori controversi che però giudichiamo imprescindibili per la loro importanza economica, scegliendo in questo caso le società che si comportando meglio e avvalendoci di un comitato di sostenibilità indipendente composto da esperti delle varie discipline che si esprimono sull'operato dei gestori». La sfida, ora, è quella dell'azionariato attivo, che in Italia stenta a decollare, per interagire e intercedere nelle scelte delle imprese attraverso un dialogo diretto col top management. «Dobbiamo trarre ispirazione dall'estero – ha puntualizzato Manca – e guardare ai fondi pensione. Non solo in linea ideale in quanto rappresentano tutti i lavoratori e dunque la collettività, ma anche perché raccolgono masse finanziarie sufficienti a poter incidere negli investimenti aziendali in sostenibilità ambientale».
Governi e imprese private debbono continuare a sviluppare le tecnologie pulite (cleantech) e i metodi di generazione di energia a basso impatto ambientale in termine di riduzione di anidride carbonica, migliorando nel contempo l'efficienza energetica delle strutture già esistenti: questa è la strada indicata da Andrea Carati, direttore e cofondatore di MainStreet Partners, che offre consulenza a società che investono in settori ad impatto ambientale. «Esistono indici che misurano la performance nell'utilizzo delle energie rinnovabili di alcune società quotate, e negli ultimi sette anni sono stati fatti enormi investimenti in cleantech; ma abbiamo rilevato che la maggioranza di questi capitali sono veicolati nelle piccole e medie imprese attraverso fondi di venture capital e private equity dalle masse monetarie meno tracciabili in quanto meno trasparenti. Le energie alternative stanno diventando il settore di destinazione dominante degli investimenti: sarebbe necessario elaborare un sistema di misurazione di questi flussi».
Fra i grandi ospiti di oggi anche Monica Frassoni, presidente del partito Verde europeo, che ricorda: «Per avere una green finance che funzioni occorrono green policies, serve riconvertire cioè il nostro sistema economico prediligendo gli investimenti verdi. Questo implica non solo un quadro legislativo dai contorni definiti, ma anche un consenso sociale intorno alle scelte e agli stili di vita sostenibili. La Banca Europea per gli Investimenti per esempio dovrebbe avere una capacità di prestito molto maggiore per i progetti di carattere ambientale: lo sviluppo degli strumenti a disposizione delle istituzioni europee e degli stati membri, in altre parole, dipende dal commitment politico che oggi non ha ancora scelto “il verde”». Secondo gli esperti del Climate Policy Initiative (organizzazione non profit che valuta l'efficienza delle politiche climatiche su scala mondiale), i finanziamenti per l'ambiente hanno continuato a crescere durante la crisi, ma occupano ancora un ruolo marginale prima di tutto a causa della mancanza di informazioni: non se ne conosce con precisione l'ammontare né molto spesso la destinazione, non si riesce a stilare una classifica degli investimenti più o meno efficienti. Una cosa però è certa: le economie emergenti giocano in questa partita il ruolo da protagonisti, a partire dalla Cina che, al contrario di quanto si crede, è già molto attenta alla riconversione energetica e sta programmando un aumento costante degli investimenti in sostenibilità ambientale nei prossimi anni.
Fra le best practice in rassegna oggi a “Join for Change” il colosso francese Scheneider Electric (core business nell'energy management) che promuove la fornitura e l'utilizzo di energia sostenibile a livello globale, fornendo ai propri clienti soluzioni che arrivano a ridurre il consumo di energia del 30%. Inoltre, Attraverso la Corporate Foundation (che vanta laboratori al top della ricerca nell'ambito della riduzione energetica e delle soluzioni di energy management), il Gruppo Schneider ha fondato “Princess Elisabeth”, la prima stazione di ricerca polare a emissioni zero. Fra le realtà italiane che, sulla base dei risultati raggiunti, hanno tutte le carte in regola per attrarre finanziamenti c'è il Centro riciclo di Vedelago (Treviso), che recupera il 99% degli scarti provenienti dalla raccolta differenziata dei comuni e delle aziende (umido escluso), ricavando materie prime dai materiali inutilizzabili che sarebbero altrimenti destinati alla discarica o all'inceneritore.
Fra le realtà da finanziare - ne è convinto Enrico Fontana, che dirige la realizzazione dei Rapporti sull'ecomafia dell'Osservatorio Ambiente e Legalità di Legambiente -, ci sono infine quelle impegnate nella conservazione e valorizzazione della biodiversità, «alle quali debbono essere destinati incentivi e contributi. E questo anche in riconoscimento della loro lotta contro l'enorme traffico illegale di specie protette, sia animali che vegetali, diretto in particolare verso l'Europa e gli Usa, che a livello mondiale genera un business criminale stimato intorno agli otto miliardi di dollari l'anno».
Domani venerdì 13 maggio interverrà a “Join for Change” Jean-Louis Bancel, presidente di Crédit Coopératif (principale gruppo bancario cooperativo francese) e di ICBA (International Co-operative Banking Association).
La tre giorni-laboratorio del dialogo tra finanza e società chiuderà con l'analisi della finanza cooperativa (programma completo e biografie di tutti i relatori n allegato).
Consorzio Etimos e Etimos Foundation sono rispettivamente un consorzio finanziario internazionale e una fondazione di partecipazione, entrambi con sede centrale a Padova, che si occupano da decenni di economia sociale, finanza per lo sviluppo e microfinanza. Riuniscono una base sociale ampia ed eterogenea, in Italia e all'estero: istituti bancari di matrice cooperativa e sociale, istituzioni di micro finanza attive nei paesi in via di sviluppo, cooperative di produzione legate ai circuiti dell’equosolidale e del biologico, attori della cooperazione, diocesi e istituti religiosi, associazioni e Ong. Anche per questo nelle loro attività, operative e culturali, si caratterizzano per una prospettiva internazionale e un approccio che privilegia il confronto tra una pluralità di posizioni, piuttosto che una loro sintesi a priori.
Gruppo Abele è un'associazione nata a Torino nel 1965 attorno a Don Luigi Ciotti. Il suo impegno è di cercare di saldare accoglienza, cultura e politica. Per questo la vicinanza a chi è in difficoltà si accompagna con lo sforzo per rimuovere gli ostacoli che creano emarginazione, disuguaglianza e smarrimento. Attualmente l'operatività del Gruppo Abele si articola in circa sessanta attività diverse. Fra queste, servizi a bassa soglia, comunità per problemi di dipendenza, spazi di ascolto e orientamento, progetti di aiuto alle vittime di tratta e ai migranti e uno sportello di mediazione dei conflitti. E ancora un centro studi e ricerche, una biblioteca, un archivio storico, una libreria, due riviste, percorsi educativi rivolti a giovani, operatori e famiglie. Il Gruppo Abele anima inoltre progetti di cooperazione allo sviluppo in Africa e un consorzio di cooperative sociali che dà lavoro a persone con storie difficili alle spalle.
Fonte: http://www.gruppoabele.org
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