mercoledì 27 ottobre 2010

Gli italiani e il risparmio: indebitata una famiglia su quattro

l'indagine Acri sul risparmio nel BelPaese. Le preoccupazioni più forti: casa, lavoro, tagli a sanità, scuola e pensioni.

E’ il decimo anno che Acri, l’Associazione che rappresenta collettivamente le Fondazioni di origine bancaria e le Casse di Risparmio Spa, in occasione della Giornata Mondiale del Risparmio, presenta un’indagine sugli Italiani e il Risparmio, realizzata in collaborazione con Ipsos. I principali risultati sono suddivisi in due macroaree: la prima, comune a tutte le rilevazioni (dal 2001 al 2010), che consente di delineare quali siano oggi l’atteggiamento e la propensione degli Italiani verso il risparmio, evidenziando i cambiamenti rispetto al passato; la seconda focalizzata sul tema specifico della Giornata, che è dedicata quest’anno a “Rigore e Sviluppo nell’Era del Mercato Globale”. 

Dall’indagine Acri emerge che in merito a rigore e sviluppo gli Italiani sembrano avere idee piuttosto precise. Si percepiscono come un popolo parsimonioso, ma senza esagerazioni: disponibili a organizzare con rigore la propria vita economica senza, però, considerare la parsimonia la soluzione di tutti i problemi. Anzi per il 48% degli Italiani le famiglie molto parsimoniose ostacolano la ripresa dell’economia del Paese, mentre per il 39% la incentivano.


Ed anche rispetto alla spesa pubblica, i più (47%) ritengono che i tagli alla spesa inibiscano la crescita economica, contro il 39% che invece ritiene la possano aiutare. Se proprio dovessero razionalizzare la spesa pubblica, i cittadini italiani non taglierebbero mai: sanità (53% di citazioni), scuola, università e ricerca (34%), pensioni (33%); e se fossero proprio costretti a scegliere sacrificherebbero la difesa (il 45% di citazioni), le spese per la giustizia (19%), la protezione dell’ambiente (18%).

Ai fini dello sviluppo la gran parte degli Italiani (il 48%) ritiene fondamentale la lotta all’evasione fiscale.

Questi dati, raccolti in maniera specifica ed esclusiva per l’anno in corso, si accompagnano a un’ampia serie di rilevazioni sull’economia e il risparmio registrate dalla ricerca Acri – Ipsos per ogni edizione della Giornata Mondiale del Risparmio, e per i quali si dispone ormai di una serie storica che copre l’arco di dieci anni.

Nel 2010 l’indagine Acri - Ipsos ci parla di Italiani in “attendismo prudente e preoccupato”, che pare legato a disillusione e a scarsa visibilità sul futuro. Il Paese viene percepito come poco reattivo alla crisi (i pessimisti sul futuro della sua economia sono il 41% contro il 30% di ottimisti), ma anche sulla ripresa globale gli Italiani fanno affidamento meno che in passato. La sfiducia nelle prospettive economiche del Paese ci accomuna, peraltro, con altri grandi paesi come gli Usa, la Francia, il Regno Unito, la Spagna; solo in Germania si registra un trend positivo a partire dalla primavera 2009 (30% soddisfatti delle sue prospettive economiche nel Novembre 2009; 56% agosto 2010 – dati Ipsos Global@dvisor).

Se nel 2009 la crisi pareva sottolineare l’importanza della globalizzazione e i vantaggi del coordinamento internazionale, ora molti concittadini hanno mutato tale fiducioso affidamento in dubbio. Questa situazione sembra intaccare, seppur marginalmente, anche lo storico sentimento europeista degli Italiani. Se in generale permane la fiducia nell’Unione Europea (il 67% ha fiducia), emerge una certa freddezza e minor convinzione: pochi dichiarano di avere più fiducia (il 7%) a fronte di un cospicuo numero che dichiara di averne meno (il 28%).

Pensando al futuro dell’economia in generale, l’ottimismo prudente registrato nel 2009 (il 55% di ottimisti contro il 29% di pessimisti) rimane tuttora maggioritario ma assai ridimensionato: il 45% di ottimisti contro il 37% di pessimisti (in particolare nel Centro Italia gli ottimisti passano dal 57% del 2009 al 39% del 2010).

E’ da notare che, nonostante pochi Italiani (6%) dichiarino migliorata la propria situazione economica, i soddisfatti crescono di 2 punti percentuali rispetto al 2009, dal 54% al 56% e dall’inizio della crisi crescono addirittura di 5 punti percentuali (nel 2007 e nel 2008 erano il 51%): in particolare crescono nel Nord Est (+9 punti percentuali dal 2009) e nel Nord Ovest (+5 punti percentuali), mentre il Centro e il Sud sono assenti da questo recupero.

La contraddizione di un Paese che nell’insieme è sempre più preoccupato del futuro e che, parimenti, mostra un consistente numero di cittadini soddisfatto circa la propria situazione personale potrebbe trovare la spiegazione in una sorta di sospensione delle aspettative di miglioramento. In merito alla propria situazione personale, quasi la metà degli intervistati (il 49%) ritiene che non cambierà, ma i fiduciosi (28%) superano gli sfiduciati (19%).

L’“attendismo prudente e preoccupato” che sembra determinare l’umore degli Italiani trova riscontro nel loro atteggiamento verso il risparmio, gli investimenti e i consumi.

Gli Italiani mostrano una bassa propensione al rischio: è riscontrabile nel 66% della popolazione, che dichiara di averne una ridotta (29%) o quasi nulla (37%), a fronte di un 24% di aperti verso il rischio e un 10% di Italiani effettivamente propensi al rischio. A conferma di questa bassa propensione, se fosse loro concesso di “prendere le decisioni” al posto di una banca, nel 67% dei casi preferirebbero finanziare imprese solide e famiglie con bassissimo livello di rischio, anche guadagnando poco; solo il 23% sarebbe propenso a finanziare imprese e famiglie più redditizie, anche se più rischiose (il restante 10% non si esprime).

Dal sondaggio risulta che il numero di chi riesce a risparmiare si mantiene costante rispetto agli ultimi anni attestandosi al 36%; sono il 37% quelli che consumano tutto ciò che guadagnano e ben una famiglia su quattro deve ricorrere a debiti o al decumulo di risparmio pregresso. Se nel Nord Est si registra il numero maggiore di famiglie in grado di accumulare risparmio (ci riesce il 45%), il Sud si trova più in difficoltà (solo il 30% riesce a risparmiare).

L’impatto della situazione per quanto riguarda l’investimento è tale che sempre più famiglie (68% rispetto al 62% del 2009) preferiscono la liquidità, mentre il mattone si conferma ancora l’investimento percepito come “ideale”, specie tra coloro che effettivamente sono riusciti ad accumulare risparmio nel corso del 2010 e che quindi esprimono un giudizio che può essere molto prossimo alle effettive intenzioni. La loro preferenza per il mattone sale dal 52% al 58%, raddoppia quella per gli strumenti finanziari più rischiosi (dall’8% al 16%), mentre si riduce la propensione per gli strumenti considerati più sicuri (dal 26% del 2009 al 20% nel 2010) e l’attendismo (dal 14% al 6%).

I consumi tornano a frenare, specie per le famiglie in crisi o che stanno sperimentando difficoltà; ed anche coloro che appaiono in una situazione tranquilla mostrano un atteggiamento prudente, orientato alla ridefinizione delle proprie spese, spostando ancor più l’attenzione dal fuori casa alla casa. Solo chi si ritiene in una situazione in miglioramento ha rafforzato i propri consumi, verso ogni tipologia di spesa, in particolare se legata al fuori casa e al benessere. Peraltro in miglioramento sono solo il 6% (una famiglia su 17, mentre nel 2006 era una famiglia su 9). Cresce, infatti, il numero di famiglie che sono riuscite a mantenere il proprio standard di vita solo con fatica (erano il 42% nel 2006, il 43% nel 2009, il 47% nel 2010), mentre si mantiene costante il numero di quelle che ritengono peggiorato il proprio tenore di vita (era il 19% nel 2006, il 19% nel 2009, il 18% oggi); costante infine il numero di famiglie che riescono a mantenere il proprio tenore di vita abbastanza facilmente (il 28% nel 2006, il 30% nel 2009, il 29% nel 2010). A conferma di una staticità che induce all’attendismo.

La Giornata Mondiale del Risparmio, che è giunta alla sua 86ª edizione, verrà celebrata, sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica, domani, giovedì 28 ottobre, a Roma presso il Palazzo della Cancelleria. Intervengono: il Presidente dell’Acri Giuseppe Guzzetti, il Presidente dell’Abi Giuseppe Mussari, il Governatore della Banca d’Italia Mario Draghi, il Ministro dell’Economia e delle Finanze Giulio Tremonti.

Il futuro dell’economia, personale e globale

L’apertura di credito sul futuro registrata nel 2009 sembra aver lasciato ormai il campo alla consapevolezza che l’uscita dalla crisi sarà graduale e con tempi più lunghi rispetto a quanto previsto lo scorso anno. L’83% del campione (era il 78% un anno fa) percepisce la crisi come grave e il 69% si aspetta che non se ne potrà uscire prima di 4 anni (erano il 57% un anno fa), con il 31% che ipotizza addirittura una soglia di 5 anni o più. Con il perdurare della crisi, insomma, i tempi per la sua conclusione sembrano allungarsi anziché ridursi e questa situazione si traduce in una crescente preoccupazione unita a un prudente attendismo, in particolare se riferito specificatamente alla situazione italiana.

A questo diffuso “attendismo prudente e preoccupato” si accompagna l’idea, da parte di un sempre maggior numero di famiglie, di godere di una situazione economica tutto sommato soddisfacente: sia tra coloro che sono fiduciosi sul proprio futuro sia tra coloro che risultano preoccupati. Nonostante, infatti, le attese negative sulla durata e sulla gravità della crisi, i soddisfatti della propria situazione economica crescono di 2 punti percentuali, dal 54% al 56% e dall’inizio della crisi crescono addirittura di 5 punti percentuali (nel 2007 e nel 2008 erano il 51%): in particolare crescono nel Nord Est (+9 punti percentuali dal 2009) e nel Nord Ovest (+5 punti percentuali), mentre il Centro e il Sud sono assenti da questo recupero.

La situazione nel Paese sembra dunque polarizzarsi: in un clima di preoccupazione generale, chi non è stato direttamente colpito dalla crisi tende a rivalutare la propria situazione personale, nonostante sia preoccupato; al contempo c’è il 23% delle famiglie (quasi una su quattro) che è stato colpito effettivamente dalla crisi (nel senso che qualcuno appartenente al nucleo familiare ha perso il lavoro oppure ha avuto delle condizioni peggiorative) ed è particolarmente pessimista e critico riguardo la propria situazione economica.

La contraddizione di un Paese che nell’insieme è sempre più preoccupato del futuro e che, parimenti, mostra un consistente numero di cittadini soddisfatto circa la propria situazione personale (il numero è addirittura in aumento rispetto all’inizio della crisi) potrebbe trovare la spiegazione in una sorta di sospensione delle aspettative di miglioramento.

- Sono sempre meno le famiglie che riescono a migliorare il proprio tenore di vita: erano l’11% nel 2006, il 10% nel 2007, il 9% nel 2008, l’8% nel 2009, il 6% quest’anno (il che vuole dire che se nel 2006 una famiglia su 9 sentiva di migliorare la propria posizione, mentre oggisolo una su 17).

- Il numero di quelle che ritengono peggiorato il proprio tenore di vita è rimasto endenzialmente costante: era il 19% nel 2006, il 19% nel 2009, il 18% oggi.

- Costante è anche il numero di coloro che riescono a mantenere il proprio tenore di vita abbastanza facilmente: il 28% nel 2006, il 30% nel 2009, il 29% nel 2010.

- Crescono le famiglie che sono riuscite a mantenere il proprio standard di vita solo con fatica (accortezza nelle spese e taglio selettivo): erano il 42% nel 2006, il 43% nel 2009, il 47% nel 2010.

Pensando al futuro dell’economia, l’ottimismo prudente registrato nel 2009 (il 55% di ottimisti contro il 29% di pessimisti) rimane tuttora maggioritario, anche se assai ridimensionato: il 45% di ottimisti contro il 37% di pessimisti (in particolare nel Centro Italia gli ottimisti passano dal 57% del 2009 al 39% del 2010). Il ridimensionamento è certamente legato alle ridotte aspettative rispetto alla ripresa globale ed europea, ma soprattutto è legato al crollo di fiducia nelle prospettive del Paese e del proprio specifico territorio relativamente ai prossimi due/tre anni. Se nel 2009 gli ottimisti sul futuro del Paese superavano i pessimisti (+4 punti percentuali) ora i pessimisti superano largamente gli ottimisti (i pessimisti sono il 41% contro il 30% di ottimisti). Riguardo, poi, alla situazione locale domina l’aspettativa di stasi, e i pessimisti sono il 30% contro il 23% di ottimisti. In merito alla propria situazione personale, quasi la metà degli intervistati (il 49%) ritiene che non cambierà, ma i fiduciosi (28%) superano gli sfiduciati (19%).

La “perdita dell’illusione” per una rapida uscita dalla crisi è fotografata anche dai dati Isae, che hanno registrato una crescita costante tra l’estate 2008 (98 punti nel luglio 2008) e il dicembre 2009 (113), cui è seguito un repentino ridimensionamento (105 punti nell’agosto 2010; 106 a settembre). Il clima di preoccupazione circa la situazione economica è comunque condiviso con i principali paesi europei e con gli Stati Uniti, unica eccezione sembra la Germania, ove si registra un trend positivo dalla primavera 2009 (30% soddisfatti Novembre 2009; 56% agosto 2010 – dati Ipsos Global@dvisor).

Complessivamente, il “pessimismo statico” che sembrava sconfitto nel 2009 lascia il posto a un attendismo prudente e preoccupato, legato a una certa disillusione, ove il futuro è sempre più un’incognita: il Paese sembra essere poco reattivo alla crisi, ma anche sulla ripresa globale si fa affidamento meno che in passato. Se nel 2009 la crisi pareva sottolineare l’importanza della globalizzazione e i vantaggi del coordinamento internazionale, ora molti concittadini hanno mutato tale fiducioso affidamento in dubbio.

Il risparmio

L’“attendismo prudente e preoccupato” che sembra determinare l’umore degli Italiani trova riscontro nel loro atteggiamento verso il risparmio: poco sembra essere mutato dal 2009 se non una generale attesa di tempi migliori, che non paiono all’orizzonte. Il numero di famiglie che sono riuscite a risparmiare nel 2010 è lo stesso del 2009 (il 36%); sono in crescita (49% contro il 43% del 2009) quelle che ritengono che nel 2011 la loro capacità di accumulo resterà costante. Il risparmiatore rafforza la propria preferenza per la liquidità e mostra crescente scetticismo circa la tutela del risparmio.

Gli Italiani, però, continuano ad avere una forte propensione al risparmio: il 41% non riesce proprio a vivere tranquillo senza mettere da parte qualcosa, mentre il 46% risparmia solo se ciò non comporta troppe rinunce: in entrambi i casi i dati sono analoghi a quelli del 2009, rimanendo costanti da quattro anni, come pure è costante il numero di “cicale”, ossia di coloro che preferiscono spendere tutto.

Le famiglie che sono effettivamente riuscite a risparmiare rappresentano poco più di un terzo degli Italiani (il 36%; erano il 37% sia lo scorso anno che nel 2006, mentre nel 2007 e nel 2008 il dato era stato inferiore, rispettivamente 33% e 34%). Chi è riuscito a risparmiare si trova soprattutto nel Nord del Paese (Nord Est 45%, Nord Ovest 41%) dove le percentuali sono lievemente in crescita rispetto a quelle del 2009. In affanno sono i risparmiatori del Sud (dove risparmia il 30%, come nel 2009) e soprattutto quelli del Centro, ove si verifica la maggiore contrazione del numero di famiglie che riescono a risparmiare (scese al 32% dal 39% del 2009).

Coloro che sono in una situazione di equilibrio, ossia non riescono ad accumulare risparmio, ma nemmeno devono decumulare o ricorrere a prestiti, sono all’incirca il 37% degli Italiani, dato coerente con il 38% del 2009 (nel 2010 l’equilibrio è soprattutto in Centro Italia).

A parte un 1% di famiglie che non si pronuncia, il restante 26% si trova in “saldo negativo” di risparmio (percentuale analoga a quella del 2009, 25%), ossia si tratta di famiglie che per tirare avanti hanno dovuto ricorrere a prestiti, bancari e non (7%) e famiglie che hanno dovuto decumulare risparmi passati (19%). Le famiglie in saldo negativo sono soprattutto al Sud, dove nel 2010 raggiungono il 34% (erano il 31% nel 2009).

In merito alle aspettative future domina la staticità. Quasi la metà delle famiglie (49%, erano il 43% nel 2009) ritiene che la propria situazione in termini di risparmio rimarrà la stessa; il 15% spera di riuscire a risparmiare di più nel prossimo anno (nel 2009 erano il 19%); mentre il 36% teme che riuscirà a risparmiare meno (erano il 38% nel 2009).

Quindi combinando l’andamento del risparmio delle famiglie italiane nell’ultimo anno e le previsioni per quello futuro (2011), si delineano sei gruppi di tendenza rispetto al risparmio stesso:

- Famiglie con trend di risparmio positivo - hanno risparmiato nell’ultimo anno e lo faranno di più o nella stessa misura anche nei prossimi dodici mesi: sono il 23% (come nel 2009).

- Famiglie con risparmio in risalita - hanno speso tutto senza fare ricorso a risparmi/debiti, ma nei prossimi dodici mesi pensano di risparmiare di più: sono il 5% (2 punti percentuali in meno rispetto al 2009).

- Famiglie che galleggiano - hanno speso tutto senza fare ricorso a risparmi/debiti e pensano che lo stesso avverrà nel prossimo anno, oppure hanno fatto ricorso a risparmi/debiti ma pensano di risparmiare di più nei prossimi dodici mesi: sono il 23% (3 punti percentuali in più rispetto al 2009).

- Famiglie col risparmio in discesa - sono riuscite a risparmiare, ma risparmieranno meno nei prossimi dodici mesi: sono il 10% (1 punto percentuale in meno rispetto al 2009).

- Famiglie in crisi moderata di risparmio - hanno consumato tutto il reddito e nei prossimi dodici mesi pensano di risparmiare meno: sono l’11% (3 punti percentuali in meno rispetto al 2009).

- Famiglie in crisi grave di risparmio - hanno fatto ricorso a risparmi accumulati e a debiti (famiglie in “saldo negativo”) e pensano che la situazione del prossimo anno sarà identica o si aggraverà: sono il 21% (3 punti percentuali in più rispetto al 2009).

A parte la costanza del numero di chi riesce ad accumulare senza difficoltà (circa un quarto delle famiglie), aumentano le famiglie che in termini di risparmio “galleggiano” a scapito delle famiglie “in risalita” o “in discesa”, mentre tra coloro che si trovano in serie difficoltà in termini di risparmio alcune situazioni da crisi “moderata” divengono “crisi grave”.

Oltre alla già citata concentrazione delle famiglie in crisi di risparmio al Sud, si registra una maggiore concentrazione di coloro che si trovano in crisi moderata nelle città di media dimensione, e tra coloro che hanno più di 65 anni; mentre tra gli Italiani che si trovano in crisi grave di risparmio ci sono soprattutto persone che vivono in città grandi e che hanno tra i 45 e i 65 anni.

Svolgendo un’analisi per condizione occupazionale, possiamo identificare in quale tipologia di capacità di risparmio si concentrano maggiormente le “professioni”:

- Imprenditori, dirigenti e liberi professionisti sono particolarmente polarizzati tra coloro che sono in una situazione di trend positivo o “risalita” e tra coloro che sono in “discesa” di risparmio: alcuni, dunque, stanno sempre meglio a fronte di altri che stanno sempre peggio.

- Esercenti, commercianti e artigiani si trovano in una situazione analoga, però con una concentrazione maggiore fra coloro che sono in “crisi grave” di risparmio.

- Gli impiegati sono concentrati soprattutto nel trend in discesa di risparmio (in particolar modo insegnanti e docenti, molti dei quali sono in “crisi grave” di risparmio) e le preoccupazioni riguardano soprattutto il 2011; gli impiegati, però, sono presenti anche nel gruppo in trend positivo.

- Gli operai, a differenza della rilevazione 2009 che li vedeva in una situazione di “discesa” o di “crisi moderata”, appaiono molto limitati nella capacità di risparmio sia attuale che in prospettiva 2011: forte è la concentrazione tra coloro che nel 2010 sono in “crisi grave di risparmio” e tra coloro che “galleggiano”.

- I pensionati, infine, denotano una certa trasversalità rispetto alle categorie di risparmio, anche se si concentrano maggiormente tra coloro che sono in “crisi moderata”, poiché stanno decumulando, e tra quelli che “galleggiano”.

Gli investimenti

La situazione descritta di “attendismo prudente e preoccupato” ha una immediata conseguenza sulla forte impennata della preferenza degli Italiani per la liquidità, in particolare nel Centro e nel Sud del Paese: dal 60% del 2008 al 62% del 2009 la percentuale di Italiani che preferisce tenere i soldi in casa o sul conto corrente sale al 68% nel 2010, in generale a discapito di chi prima investiva una piccola parte dei propri risparmi. Rimane invece costante il numero di coloro che investono la maggior parte dei propri risparmi (9%).

Dovendo investire gli Italiani preferirebbero il “mattone”. Rimane l’investimento “ideale” per il 54%, un dato costante negli ultimi tre anni (è da registrare, però, la forte crescita di questa preferenza nel Nord Est e il decremento nel Nord Ovest); come pure costanti sono le indicazioni per gli strumenti finanziari considerati più sicuri (23%) e per quelli più speculativi (5%). Il 18% degli Italiani si sente lontano da ogni forma di investimento, preferendo la liquidità o la spesa.

E’ da notare come – tra coloro che hanno effettivamente risparmiato nel 2010 e che quindi esprimono un giudizio che può essere molto prossimo alle effettive intenzioni – ci siano dei forti cambiamenti rispetto al 2009: sale la preferenza per il mattone (da 52% al 58%), raddoppia quella per gli strumenti finanziari più rischiosi (dall’8% al 16%), mentre si riduce la propensione per gli strumenti considerati più sicuri (dal 26% del 2009 al 20% nel 2010) e l’attendismo (dal 14% al 6%).

Basandosi sul totale del campione emerge, tuttavia, che gli Italiani continuano a ritenere fondamentale la bassa rischiosità e la solidità dell’investimento del proprio risparmio, anche perché pensano che gli strumenti esterni di tutela (leggi, regolamenti, controlli) del risparmio siano poco efficaci (per il 59% del campione), tanto oggi quanto in prospettiva (il 46% del campione ritiene che nei prossimi 5 anni il consumatore sarà meno tutelato, contro il 27% che ritiene che sarà più tutelato; il restante 27% ritiene che tutto rimarrà com’è oppure non si pronuncia).

I consumi

Coerentemente con le rilevazioni oggettive, gli Italiani si rendono conto e ammettono di avere ridotto drasticamente i loro consumi negli ultimi due/tre anni. La situazione di crisi si è abbattuta soprattutto sul fuori-casa (bar e ristoranti, cinema e teatro, viaggi), ma ha intaccato anche l’abbigliamento e la cura della persona; statiche sembrano le spese per spostamenti ed elettronica; mentre crescono telefonia e spese per la casa, alimentari e non. Ciò sembra confermare la comparsa di un nuovo individualismo, nel quale ognuno è connesso al mondo con un vasto uso delle nuove tecnologie; e in questa situazione la “propria casa” gioca un ruolo centrale: è il punto di riferimento dell’essere individuo e motore della socialità.

Come già rimarcato nel 2009, la situazione di crisi, che per gli Italiani dura ormai da diversi anni, ha avuto un forte effetto sulle abitudini di consumo, cercando un nuovo equilibrio nel paniere di acquisti, anche se il dato medio nasconde situazioni estremamente diverse.

- Chi ha un tenore di vita peggiorato ha dovuto tagliare ogni spesa, anche la telefonia che l’anno scorso rimaneva l’ultimo “bene rifugio” per avere piccoli appagamenti quotidiani: in ogni categoria di prodotti prevalgono coloro che ne hanno molto ridotto il consumo;

- Anche coloro che si sono “barcamenati” con le difficoltà, senza abbattere troppo la loro qualità della vita, hanno dovuto ridimensionare notevolmente i propri consumi, tagliando quasi ogni voce (prevalgono coloro che hanno molto ridotto tutte le spese per il fuori casa, per il vestiario, per la cura della persona, per libri e stampa), riuscendo a conservare un consumo costante solamente per la telefonia e le “spese per la vita in casa”;

- Chi ha mantenuto costante la propria qualità della vita è ricorso, come lo scorso anno, a una riallocazione, spostando dal fuori casa alla casa molte delle proprie spese: rispetto al 2009 queste famiglie hanno molto aumentato le spese per telefoni e telefonia, hanno aumentato il consumo di libri, giornali e riviste e di prodotti alimentari e per la casa, riducendo al contempo molto le spese per il fuori casa e quelle per vestiti e accessori;

- Le maggiori variazioni, però, le troviamo tra coloro il cui tenore di vita è migliorato: rispetto al 2009 questi hanno incrementato sensibilmente le spese in ogni direzione e rispetto al 2009 soprattutto quelle per il fuori casa, in particolare per quanto riguarda bar, pizzerie, ristoranti, viaggi e vacanze; si tratta di soggetti che, nonostante la crisi, riempiono i locali e si concedono vacanze, anche importanti.

L’europeismo e l’Euro

La preoccupazione sembra intaccare, seppur marginalmente, anche lo storico sentimento europeista di molti Italiani. Se in generale permane la fiducia nell’Unione Europea (il 67% ha fiducia), emerge una certa freddezza e minor convinzione: pochi dichiarano di avere più fiducia (il 7%) a fronte di un cospicuo numero che dichiara di averne meno (il 28%).

L’Euro continua ad essere vissuto con frustrazione e insoddisfazione (nel 2010 il 67% si dichiara insoddisfatto contro il 65% del 2009, a fronte di un 33% di soddisfatti), anche se gli Italiani rimangono convinti che in prospettiva l’adesione alla moneta unica sia una cosa positiva (per il 60% in una prospettiva di 20 anni sarà un vantaggio).

Rigore e Sviluppo

In uno scenario come quello finora tracciato, gli Italiani come guardano al binomio rigore (sia nei conti pubblici che nel privato) e sviluppo?

Innanzi tutto è bene sottolineare che gli Italiani attribuiscono a se stessi caratteristiche di forte prudenza e bassa propensione al rischio, sia in campo finanziario sia nella vita di tutti i giorni, che si accompagna a una certa diffidenza verso ciò che non è facilmente sotto il loro diretto controllo. Del resto l’Italia è un paese dove l’alto livello di risparmio si associa a una limitata propensione per gli strumenti finanziari, compresi quelli volti alla pianificazione del reddito di lungo periodo come fondi pensionistici e assicurativi.

Questa bassa propensione al rischio è riscontrabile nel 66% della popolazione, che dichiara di averne una ridotta (29%) o quasi nulla (37%), a fronte di un 24% di aperti verso il rischio e un 10% di Italiani effettivamente propensi al rischio. A conferma di questa bassa propensione, se fosse loro concesso di “prendere le decisioni” al posto di una banca, nel 67% dei casi preferirebbero finanziare imprese solide e famiglie con bassissimo livello di rischio, anche guadagnando poco; solo il 23% sarebbe propenso a finanziare imprese e famiglie più redditizie, anche se più rischiose (il restante 10% non si esprime).

Inoltre, gli Italiani si considerano mediamente parsimoniosi e poco spreconi (57%). In generale coloro che si ritengono parsimoniosi (29%) sono molti di più di coloro che sanno di avere le mani un po’ bucate (14%). E’ interessante notare come questa auto-percezione coincida abbastanza con la percezione che ognuno ha dei propri concittadini. Quindi, ci percepiamo come un popolo parsimonioso, ma senza esagerare, personalmente disponibile ad organizzare con rigore la propria vita economica.

Non per la maggioranza degli Italiani, però, la parsimonia è una virtù utile al progresso dal Paese: per il 48% degli Italiani le famiglie molto parsimoniose ostacolano la ripresa dell’economia, mentre per il 39% la incentivano; per l’8% non ha effetti sull’economia, (il restante 5% non si esprime). Questa percezione è sicuramente rafforzata dal fatto che il 51% degli Italiani ritiene che il risparmio è importante per la crescita del Paese, ma meno di altri aspetti; solo il 31% lo ritiene fondamentale, mentre il restante 18% o non lo ritiene per nulla importante o non ne sa identificare l’importanza.

Anche rispetto alla spesa pubblica, i più (47%) ritengono che i tagli alla spesa inibiscano la crescita economica, mentre il 39% ritiene che la possano aiutare.

E’ da sottolineare che la percezione degli Italiani rispetto ai tagli di spesa pubblica risente della valutazione che ci sia un palese distacco tra le intenzioni che li generano e gli effetti che ne derivano. Gli Italiani ritengono che i tagli di spesa pubblica nelle intenzioni del proponente sono spesso volti a una razionalizzazione e non a una riduzione dei servizi (il 59% ritiene siano volti a contenere gli sprechi, mentre solo il 36% ravvisa una volontà di ridimensionamento dei servizi).
Segnalano, però, che alla prova dei fatti i servizi sembrano ridursi senza una effettiva razionalizzazione (è così per il 76% degli Italiani contro il 20% che ritiene che i tagli abbiano ridotto sprechi e condotto a razionalizzare le spese) o un beneficio che sia per loro riscontrabile.

La conseguenza di questa esperienza, e del distacco tra intenzioni ed effetti circa i tagli di spesa, determina che, nel momento in cui si chiede ai cittadini di cosa abbia effettivamente bisogno l’Italia, in pochi si appassionino per la riduzione del debito pubblico (12%) e pochi di più per la riduzione della spesa pubblica (15%, che arriva al 34% presso le classi direttive). Sorprende che anche l’ipotesi di riduzione delle tasse (sia ai cittadini che alle imprese) ai fini dello sviluppo del Paese raccolga un consenso abbastanza limitato (23%), mentre trasversale e dominante è avvertita la necessità di una lotta all’evasione fiscale (48%), con una marcata richiesta particolarmente nel Nord Est (53%).

Se proprio dovessero razionalizzare la spesa pubblica, i cittadini italiani hanno idee chiare su cosa non taglierebbero mai: sanità (53% di citazioni), scuola, università e ricerca (34%), pensioni (33%), che si palesano come i tre capisaldi dello Stato.

Se invece i cittadini fossero costretti a scegliere cosa sacrificare al fine di ridimensionare le spese, taglierebbero soprattutto la difesa (45%), le spese per la giustizia (19%), la protezione dell’ambiente (18%).

La ricerca: metodologia

L’indagine è stata realizzata, nella prima settimana di ottobre, tramite interviste telefoniche con tecnologia Cati – Computer Aided Telephone Interviews ed è stata arricchita di alcuni dei risultati delle indagini congiunturali prodotte dall’Isae e da altre indagini condotte da Ipsos nel 2009. Sono state svolte 1.000 interviste, presso un campione rappresentativo della popolazione italiana adulta, stratificato in base ai seguenti criteri: area geografica e ampiezza del centro, sesso ed età. In corso di elaborazione i risultati sono stati ponderati al fine di riprodurre esattamente l’universo di riferimento.

Fonte: ACRI



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