domenica 31 ottobre 2010

Scampi al petrolio, la vecchia ricetta della cucina ligure

Il concetto di “scaricabarile” non è mai stato così azzeccato. I fondali del Mar Ligure al largo di Savona sono ricoperti di petrolio. Dal 1991, quando la petroliera greco-cipriota Haven saltò in aria scaricando 144 mila tonnellate di oro nero. Tutti lo sanno, tutti lo negano. Palazzo Chigi considera il problema “risolto”, il ministero dell’Ambiente pure, anche se si dice pronto a intervenire qualora ci fossero “segnalazioni” della presenza di greggio in fondo al mar.


Questa sera, di segnalazione, ne avranno una che vale le dimissioni. Report, con un servizio di Sigfrido Ranucci, dimostra che quello della Liguria è un scempio che non potevano non sapere: al ministero, di accendere la tv non hanno bisogno. Che sia pieno di petrolio, lo sanno benissimo. Sono stati loro stessi, nel 1995, a commissionare uno studio alla Icram: sanno della distesa di catrame, sanno dell’alta percentuale di pesci con il tumore al fegato, sanno della prole malforme. Eppure fanno finta di niente. Stanno lì, aspettano “segnalazioni”.

Chi lavora nell’industria del greggio, assicura che il petrolio è un “prodotto naturale”, e come tale la natura se lo riprende. Anche nelle peggiori fuoriuscite, giurano, dopo quindici, vent’anni, di quell’olio non c’è più traccia. Anzi, azzardano, rende perfino i fondali più belli. La catastrofe dell’Haven il prossimo aprile compirà vent’anni. Eppure la natura quel vomito nero non sembra averlo digerito. È lei che si è dovuta adattare al magma che l’ha travolta: sugli ammassi di catrame, i moscardini sono perfino riusciti a deporre le uova.


In quella porzione di Mediterraneo, però, la pesca non è vietata. Ogni mattina, i pescatori gettano le reti e quello che portano a galla è una materia grigiastra. In mezzo ci sono i pesci, gli scampi pregiati: loro li prendono, li puliscono e tornano ad essere guardabili e ufficialmente commestibili. L’unica area interdetta alla pesca è quella esattamente sopra il relitto. Per assurdo, l’unica bonificata. L’operazione si è conclusa nel 2008. A farla è stata la Protezione civile, a cui la presidenza del Consiglio, tre anni prima, aveva affidato i fondi per il ripristino nell’area. Quindici anni dopo la tragedia? No, i soldi c’erano già prima, è che li hanno usati per tutt’altro.


Sigfrido Ranucci, carte alla mano, li ha ricostruiti centesimo per centesimo. Il danno stimato per l’incidente della Haven era di circa due mila miliardi di lire. Ma l’Italia non li ha pretesi: si è accontentata di ottenere il pagamento delle misure di ripristino “ragionevoli”, non si sa per chi. Tradotto, 117 miliardi di lire che nel 1999 sono arrivati nelle casse della regione Liguria. Bene, anziché per la Haven, li hanno usati per riqualificare l’ex ferrovia e la passeggiata degli artisti di Albisola, per sistemare il lungomare di Cogoleto, il depuratore di Arenzano. Poi, dopo il trasferimento della gestione alla Protezione civile, li hanno usati per “mettere in sicurezza il sito dell’azienda Stoppani che aveva contaminato di cromo terreni ed acqua” e per pagare gli ammortizzatori sociali dei lavoratori che hanno perso il lavoro.

L’attuale assessore all’Ambiente, Renata Briano, non lo considera un errore. Lei, che il petrolio sia in mezzo ai pesci, non ci crede proprio. “Credo che il petrolio sia in profondità tali che non ci sia pericolo!”. Report stasera lo riporta a galla. Sarà difficile continuare con lo scaricabarile.

di Paola Zanca
da Il Fatto Quotidiano del 31-10-2010

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