mercoledì 27 ottobre 2010

Si impicca a dodici anni! (Un bimbo con una corda dovrebbe solo giocare) .

Aveva dodici anni, non era malato, a scuola andava bene, nessun problema in famiglia. Lo hanno trovato, l'altra mattina, nella cucina del suo appartamento di Vicenza penzolante da una corda. Si era impiccato. Sul tavolo una lettera. Rileggo i suoi pensieri esternati, poco prima di quell'assurdo "autodafé", diretti ai suoi genitori: "Voi non avete colpa...Era tanto tempo che ci pensavo...". Semplicemente pazzesco. Da tanto tempo quanto, per una vita che ancora doveva sbocciare? Rifletto sulle argomentazioni dello psicologo. Corrette secondo il testo universitario di base. Eppure fredde come le stelle ormai spente, nella loro scolastica esposizione. Eppoi, ancora una frase prima del volo senza ritorno: "La depressione è come un buco nero che ti risucchia...".

Un colpo di rivoltella, quella parola: depressione. E' scientificamente provato che, andando avanti negli anni e per un curioso gioco tra neuroni cerebrali, la tendenza di ciascuno è quella di ricordare con sempre maggiore precisione gli eventi più lontani e di scordare in fretta quelli coniugabili al presente. Bene, sono assolutamente certo che a dodici anni il termine depressione non faceva parte del vocabolario mio e né di quello dei miei coetanei. Sereni o felici, tristi o arrabbiati. Potevamo essere così. Depressi mai anche perché, pur non essendo sprovveduti e in ogni caso sufficientemente acculturati, fortunatamente non sapevamo cosa volesse dire. Dodici anni sono niente, rispetto alla vita che di per stessa è un miracolo troppo breve.

Soprattutto è l'età della carta assorbente, nel senso che ogni minimo segnale e che ciascuna piccola indicazione in arrivo dall'esterno viene assorbita, metabolizzata e poi rimane lì per eterno imprinting. A dodici anni si deve sognare e si può avere paura. Il sogno figlio della fiaba. La paura del buio o dell'orco. E' persino possibile provare i due sentimenti contemporaneamente come insegnava Disney con le sue storie animate da eroi e da personaggi cattivi. A noi bambini questo diritto venne concesso da genitori e nonni che pure erano avevano vissuto il terrore della guerra.

Poi, dagli Anni Settanta in avanti, il Muro della decenza e del rispetto per l'età della gioia spensierata è crollato sotto i colpi di un liberismo anche intellettuale che ha permesso ad ogni sorta di nefandezza di contagiare e di dilagare come la peste nel nome di un modernismo senza barriere. Di tutto e di più abbiamo lasciato che grondasse, come una pioggia acida, dalla televisione, dal cinema, dai libri, dalle cronache quotidiane, persino dai comportamenti interpersonale e domestici. I più indifesi, dopo essere stati scippati della loro identità anagrafica, sono fatalmente crollati trasformandosi in piccoli adulti e, quindi, depressi. Dubito si possa tornare indietro, in un mondo deve i bambini devono giocare e nel quale una corda deve servire soltanto a fare il saltarello. Per questo sono furibondo. Incazzato nero anche con me stesso.

di Marco Bernardini

Fonte: Nuovasocietà 

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