di Joli Ghibaudi
Centonove decessi. Quaranta suicidi. Sono i numeri della sofferenza carceraria nei primi sette mesi del 2010. Morti su cui non sempre è stata fatta chiarezza. Morti che parlano della condizione dei detenuti nel nostro Paese, dove si assiste ad una deriva dal “sociale” al “penale” che travolge soprattutto chi vive ai margini della società. Le carceri diventano allora zona franca di sospensione dei diritti, dove, oltre che della libertà, le persone si vedono private di quanto è stabilito dalla Costituzione: salute, dignità, lavoro, reinserimento.
Il primo ostacolo si chiama sovraffollamento. Nelle carceri italiane sono detenute oltre 66mila persone, circa 23mila in più del numero massimo. Una cifra mai raggiunta nella storia della Repubblica e in proporzione la più alta d’Europa. Tra i fattori determinanti leggi come quelle sulla droga e sull’immigrazione, che provocano la carcerazione dei migranti non in regola col permesso di soggiorno e di tanti semplici consumatori di droga. Gli stranieri sono il 37,1% del totale, i consumatori e le persone tossicodipendenti il 31%. Il carcere smette di essere allora un’extrema ratio per diventare uno spazio destinato alle “vite di scarto”.
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