La Corte di Cassazione ha stilato un vademecum su quelle che debbono essere le regole per ottenere il risarcimento del danno in caso di mobbing – fa sapere l’ADICO.
Secondo la Corte, per evitare cause inutili, occorre considerare in primo luogo che per per mobbing si intende una condotta del datore di lavoro o del superiore gerarchico, sistematica e protratta nel tempo, tenuta nei confronti del lavoratore nell'ambiente di lavoro, che si risolve in sistematici e reiterati comportamenti ostili, che finiscono per assumere forme di prevaricazione e di persecuzione psicologica, da cui può conseguire la mortificazione morale e l'emarginazione del dipendente, con effetto lesivo del suo equilibrio fisiopsichico e del complesso della sua personalità". Fatta questa precisazione la Corte (sentenza 3785/2009) spiega che per avere maggiori possibilità di successo in una causa per mobbing occorre innanzitutto che vi sia una "molteplicità dei comportamenti a carattere persecutorio, illeciti o anche leciti se considerati singolarmente, che siano stati posti in essere in modo miratamente sistamatico e prolungato contro il dipendente con intento vessatorio".
In secondo luogo occorre sapere che per poter parlare di mobbing occorre che una determinata azione sia stata lesiva "della salute o della personalità del dipendente". Ma non basta, la Suprema Corte sottolinea anche la necessità di accertare l'esistenza del "nesso eziologico tra la condotta del datore di lavoro o del superiore gerarchico e il pregiudizio all'integrità psico-fisica del lavoratore". Da ultimo occorre avere la prova dell'elemento soggettivo ossia dell'intento persecutorio.
Il mobbing può toccare tutti, uomini e donne di tutte le età, formazione e condizioni sociali, a tutti i livelli di gerarchia – ricorda il presidente dell’ADICO, Carlo Garofolini – per varie ragioni: qualche volta è semplicemente un capro espiatorio, una persona diversa dai colleghi, meno conformista, più debole di loro, oppure che ha più successo o più idee innovatrici.
Ecco allora i consigli degli esperti dell’ADICO:
1. parlare con una persona di fiducia tra i colleghi, capi o con il responsabile del personale ;
2. consultare un medico in caso di necessità ;
3. chiamare il sindacato per chiarire la situazione, avere un sostegno e conoscere i propri diritti ;
4. annotare ciò che succede, per poter valutare l'evoluzione della situazione e fornire delle prove in un'eventuale azione legale ;
5. agire, ad esempio scrivere una lettera raccomandata al datore di lavoro descrivendo con precisione la situazione e chiedendogli di rispettare il suo obbligo di far cessare la lesione alla sua personalità. (art.328 del CO);
6. prima di intraprendere azione avventate, consultare gli esperti dell’ADICO.di rispettare il suo obbligo di far cessare la lesione alla sua personalità. (art.328 del CO)
Fonte: ADICO
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