Per Roma servono più tagli e il ticket sui ricoveri
ABRUZZO.
Il Ministero ha detto no. Il Piano per la Rete regionale della residenzialità e
della semiresidenzialità (Rsa, residenze per anziani, per disabili) ha bisogno
di «integrazioni e chiarimenti» altrimenti così non va.
In
questa seconda versione – rispetto alla prima formulazione dello scorso anno -
non sono, dunque, bastati gli ulteriori tagli ai posti letto, l’introduzione
della compartecipazione, cioè del ticket sui ricoveri, il pagamento chiesto
anche ai disabili, l’inasprimento del setting assistenziale, insomma la
disarticolazione della rete di assistenza attualmente operativa.
Secondo
il Ministero è ancora troppo leggero questo “tsunami” che si è abbattuto sull’assistenza
agli anziani e ai disabili, pur se con ironia degna di miglior causa lo stesso
Ministero «giudica di assoluto rilievo lo sforzo per il miglioramento
dell’assistenza extraospedaliera in Abruzzo».
Miglioramento?
Siamo al sovvertimento della lingua italiana: definire miglioramento questa
drammatica riduzione dell’assistenza ai più poveri e sfortunati (dementi,
portatori di handicap, anziani non autosufficienti, invalidi più o meno totali
e così via) significa parlare un’altra lingua. Siamo piuttosto
all’imbarbarimento delle condizioni di vita di migliaia di famiglie abruzzesi,
deciso tra l’altro da tecnici e da funzionari ministeriali che non hanno alcuna
legittimazione elettorale per decidere di peggiorare così la vita dei
cittadini. A leggere le tre paginette che bocciano la proposta inoltrata a
marzo dall’Ufficio commissariale, si trova di tutto. C’è lo scetticismo
rispetto«all’avvenuta valutazione dei bisogni assistenziali, riabilitativi e
sociali degli ospiti» attualmente ricoverati: «se non ci fate vedere
i risultati non ci crediamo», chiosa il documento. C’è l’invito a fare presto: «la
Regione prevede il nuovo accreditamento delle Rsa entro il 30 settembre?» «Accelerate»,
ordina il Ministero, con tutti i provvedimenti necessari per i criteri
d’accesso, per i tetti di spesa, per i requisiti tecnologici, strutturali ed
organizzativi.
C’è
la descrizione dei metodi per addolcire l’introduzione del ticket sul ricovero: «la
compartecipazione alla spesa – laddove prevista – verrà introdotta
gradualmente, ricorrendo al versamento dell’indennità di accompagnamento e/o
della pensione di invalidità per chi è inserito in una struttura residenziale».
E’
vero che la Regione prevede la costituzione di una Fondazione per pagare le
quote dei nullatenenti, dei disabili e dei malati psichiatrici e che per gli
anziani farà ricorso al Fondo nazionale per la non autosufficienza: «ma la
previsione sembra di lontana e incerta realizzazione». E qui l’affondo: «si
ribadisce la necessità di procedere all’introduzione immediata della quota di
compartecipazione» e poi con un sussulto di pudore si aggiunge: «laddove
prevista».
Ma
non si dice che in pratica il “laddove” è dappertutto, se poco dopo il
documento lamenta che la Regione ha scritto che l’assistenza dei disabili è a
carico del Sistema sanitario.
«Altro
che a carico, forse è così adesso, ma bisogna cambiare agendo sul nuovo setting
ed inserendo la quota sociale». Il gioco è semplice: basta cambiare
la valutazione dell’handicap da grave a meno grave e così scatta il ticket.
Bacchettate anche sul fabbisogno di posti letto: sono troppi in generale, sono
eccessivi nelle Comunità socio riabilitative per disabili, per le
riabilitazioni, per la salute mentale, per i tossicodipendenti. Tagliare,
tagliare, tagliare: sarebbe questo il “miglioramento” dell’assistenza. Il grave
è che già in occasione della chiusura dei piccoli ospedali si parlò di
“riconversione” e molti abboccarono. Il pretesto per questa drammatica
riduzione dei livelli di assistenza è il solito: troppe spese, molti sprechi,
ciascuno paghi per quello che ottiene. E’ un discorso ragionieristico che non
tiene conto del fatto che una società civile può decidere di accollarsi
l’assistenza di chi già ha pagato per tutta la vita la sua condizione di
disabile, di invalido o di anziano non autosufficiente, tagliando magari le
auto blu o i privilegi della casta.
Ma
è soprattutto un discorso che non sono titolati a fare i tecnici, che al
massimo possono suggerire soluzioni, razionalizzazioni ed economie di scala.
Non possono cioè decidere a nome della società che non rappresentano, ma di cui
sono solo esecutori pagati, a volte profumatamente. Insomma a dover essere
bocciato non è il Piano, ma il metodo imposto di decidere senza consenso e
senza solidarietà. Senza aggiungere un dato che marginale non è: meno assistenza,
meno posti letto, meno Rsa significa meno lavoro per infermieri, tecnici,
amministrativi e medici abruzzesi. La politica regionale, che si è fatta
espropriare del governo dei bisogni assistenziali degli abruzzesi, dovrebbe
respingere questi diktat con un sussulto di dignità “laddove previsto.”
di Sebastiano
Calella
Nessun commento:
Posta un commento