9
milioni di italiani hanno partecipato nell’ultimo anno a forme di protesta
autorizzate. Giovani più inclini al dissenso: il 7% ha preso parte a
manifestazioni illegali.
Roma,
20 giugno 2012 – Cresce la protesta sociale. 9 milioni di italiani
hanno partecipato nell’ultimo anno a manifestazioni di protesta autorizzate, in
tanti modi e per ragioni diverse. Si tratta del 17,7% della popolazione
maggiorenne, una percentuale in forte crescita rispetto a quella rilevata dal
Censis nel 2004 (11,8%). Un effetto della crisi della sovranità statuale
tradizionale, con la cessione di poteri agli organismi sovranazionali e ai
mercati finanziari internazionali, è proprio la diffusione di un antagonismo
«errante», non più ideologico come in passato, che resta allo stato fluido per
poi raggrumarsi in situazioni molteplici e variegate.
I
temi del dissenso e le modalità della protesta. Nell’ultimo anno il 19,3%
degli italiani maggiorenni ha fatto parte di un’associazione che opera in
difesa di interessi locali (territorio, quartiere, ecc.) o tematici (ambiente,
diritti civili, ecc.), il 17,7% ha partecipato a una manifestazione di protesta
autorizzata contro una decisione pubblica (proposte di legge, decreti,
ordinanze, ecc.), il 16,9% ha aderito a uno sciopero per difendere un diritto
lavorativo o professionale, il 15,9% ha firmato una petizione, il 4,5% ha
inviato una lettera di lamentela a un quotidiano, il 3,3% ha partecipato a una
manifestazione di protesta non autorizzata o di disobbedienza civile (blocco
stradale, corteo spontaneo, ecc.). Quest’ultimo dato corrisponde a 1,5 milioni
di persone, certo non riconducibili a un’area del dissenso militante e
organizzato: si tratta di persone che vedono nella legittimità della protesta
sociale un fattore di arbitraggio rispetto a eventuali sconfinamenti
nell’illegalità.
Contestazioni
senza conflitto sociale. In generale, cresce la protesta sociale dando
vita a contestazioni molto frammentate, che tendono a non tradursi in un reale
conflitto sociale. Danno vita ad aggregazioni temporanee, con legami labili e
un impegno a termine, ma consentono di relativizzare il disagio individuale e
di stemperare lo smarrimento dell’individuo-suddito, che subisce decisioni assunte
molto lontano da lui e calate nel suo spazio vitale senza la mediazione di
decisori nazionali e locali sempre più impotenti. Si tengono insieme così
fenomeni diversi: dai No Tav ai giovani frustrati a causa delle mediocri
prospettive occupazionali, dalla rabbia per gli squilibri di reddito o la
tassazione eccessiva alla ventata attuale di antipolitica. Il forte dissenso
per i privilegi della classe politica e dei rappresentanti istituzionali genera
un’ampia disponibilità generica ad aderire in futuro a manifestazioni di
protesta: l’80,2% dei cittadini dichiara che parteciperebbe. Il 75,3%
manifesterebbe contro l’inasprimento del prelievo fiscale (Imu, accise sulla
benzina, ecc.), il 70,7% contro opere pubbliche ritenute inutili o dannose per
il territorio, il 69,1% contro i tagli ai servizi locali (sanità, scuola,
trasporti), il 59,6% contro interventi di riforma del mercato del lavoro, il
52,8% contro la liberalizzazione dei servizi pubblici (ad esempio, l’acqua).
Il
conflitto innescato dalle opere di trasformazione del territorio. In
Italia la realizzazione di una grande opera civile, di un impianto per la
produzione di energia elettrica o per il trattamento dei rifiuti, raramente non
dà vita a episodi di protesta collettiva più o meno intensi. Nel 2005 le opere
contestate erano 190, nel 2011 il numero è salito a 331. Il 62,5% delle
proteste riguarda impianti energetici, il 31,4% i rifiuti, il 4,8% le
infrastrutture viarie. Il 51% delle contestazioni riguarda interventi non
ancora autorizzati e solo allo stato di progetto. Le contestazioni popolari
pesano per il 36% delle proteste, ma crescono le iniziative dei politici locali
(29%) e delle istituzioni locali (23%).
L’identikit
dell’universo antagonista. I più inclini alla protesta sono i giovani. Più
di un quarto (il 26,2%) ha partecipato nell’ultimo anno a manifestazioni di
piazza e il 7% ha preso parte addirittura a proteste illegali o non
autorizzate. Anche il 14,7% degli ultrasessantacinquenni è sceso in piazza. Ma
a ingrossare la protesta è la popolazione adulta in età lavorativa: il 38,5%
dei manifestanti ha tra 45 e 64 anni. In base ai livelli di istruzione, è
aumentato il coinvolgimento in episodi di protesta soprattutto dei laureati (la
percentuale di quelli che hanno manifestato è passata dal 16% del 2004 all’attuale
24%) e dei soggetti meno istruiti (dal 4,9% al 9,3%). È il segno che la
protesta tende a dicotomizzarsi: sempre più colta, da un lato, mentre
dall’altro comincia a reclutare fasce di popolazione con livelli di
scolarizzazione anche molto bassi, tradizionalmente poco inclini a mostrare
apertamente il proprio malumore e dissenso.
«L’antagonismo
errante» è l’argomento di cui si è parlato oggi al Censis, a partire da un
testo elaborato nell’ambito dell’annuale appuntamento di riflessione di giugno
«Un mese di sociale», giunto alla ventiquattresima edizione, dedicato
quest’anno al tema «La crisi della sovranità». Sono intervenuti il Presidente
del Censis Giuseppe De Rita, il Direttore Generale Giuseppe Roma e il
responsabile del settore Territorio e reti Marco Baldi.
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