Il
presidente della Repubblica, proprio per la sua funzione, dovrebbe sapere bene che
nessuno è al di sopra e al di fuori della legge. Oggi prendiamo atto del fatto che egli avalla il
comportamento dei suoi più stretti collaboratori che hanno tentato di interferire
in una inchiesta penale in corso che riguarda fatti gravissimi: una possibile trattativa fra
Stato e mafia per evitare che qualche politico
venisse ucciso mentre venivano ammazzati magistrati come Falcone e Borsellino.
Quindi non di una campagna di sospetti e insinuazioni si tratta, ma di una ricerca della verità in nome del sangue versato e delle tante vittime che hanno pianto per quello Stato calabraghe in quei giorni.
L’Italia dei valori ha depositato ieri formalmente la richiesta di una commissione d’indagine affinché si accerti esattamente cosa è successo tra il 1992 e il 1993, quando spezzoni dello Stato, su richiesta di mafiosi di primissimo piano, hanno ridotto la carcerazione preventiva e hanno concesso altri benefici ai mafiosi stessi.
La commissione è necessaria perché non possiamo affidarci solo all’autorità giudiziaria, in quanto l’inchiesta dei magistrati può anche accertare una non responsabilità penale: questi fatti potrebbero non avere rilevanza penale. Ma senza dubbio la sola idea che in uno Stato di diritto vi siano organi istituzionali importantissimi che non fanno il loro dovere e prendono decisioni non nell’interesse dei cittadini ma della propria incolumità, impone la costituzione di una commissione d’inchiesta, perché quello è l’unico luogo democratico, prima che il popolo si ribelli, per accertare come sono andati i fatti.
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