Intervista
ad Antonella Stirati, Professore di Economia Politica, Dipartimento di
Economia, Università Roma Tre
di Fabio Sebastiani
La palla sull'euro ce l'hanno ancora i
tedeschi. Qualcuno ha detto che dalla rottura della moneta intanto subirebbero
un taglio del Pil del dieci per cento. Tu come la vedi?
Il danno che loro avrebbero da una rottura dell'euro deriva innanzitutto dalla
rivalutazione del "marco" che comportorebbe una riduzione delle loro
esportazioni. In pratica verrebbe ad annullarsi il vantaggio competitivo che
hanno ora sotto la copertura della moneta unica. L'uscita dal vincolo monetario
tenderebbe a ridurre il grande surplus di bilancia commerciale di cui godono. E
poi c'e il loro timore che se si esce dall'euro ci rimetteranno sul piano dei
prestiti che hanno fatto, o via banca centrale o via banche private, agli altri
paesi dell'eurozona. Non è chiaro se i loro crediti verranno ri-denominati
nelle nuove valute dei vari paesi che hanno ricevuto i prestiti, le cui monete
sarebbero soggette ad una svalutazione nominale. Certo, di contro avrebbero che
i costi sia di acquisizione di aziende e società dei paesi periferici sia dei
beni prodotti in subfornitura sarebbero inferiori agli attuali.
La loro geopolitica però guarda sempre meno all'Europa e sempre più verso altri paesi.
Loro sicuramente stanno puntando allo sviluppo delle esportazioni verso i paesi
dell'estremo oriente e verso i paesi dell'Est Europa, dove hanno un rapporto di
esportazione e di filiere produttive
consolidate. Tuttavia circa il 60% delle loro esportazioni continua ad essere
verso i paesi dell'eurozona. Ma al di là dell'apprezzamento del marco e
dell'inesigibilità dei crediti del sistema bancario, quello che tutti temono è
la potenziale instabilità finanziaria determinata dalla rottura dell'euro. E'
chiaro che si crea una situazione di instabilità, almeno per una fase, che può
essere un salto nel buio per tutti. Crediti e debiti e attività finanziarie
verrebbero verosimilmente ridenominate nelle nuove valute che, se svalutate,
determinerebbero perdite per chi le possiede. Ci potrebbero essere gravi rischi
di perdite e fallimenti per alcune banche e istituzioni finanziarie. Un
ulteriore problema è che in una situazione di difficoltà e di rottura della
moneta unica, i paesi più deboli avrebbero problemi a ottenere finanziamenti
internazionali in valuta estera (dollari o "marchi" per intenderci).
Se ciò accade essi non potrebbero più acquistare da altri paesi la stessa
quantità di beni, non disponendo della valuta estera necessaria, e sarebbero
quindi costretti a misure che riducano le loro importazioni, anche misure di
protezionismo. Se non hai abbastanza valuta estera semplicemente non puoi più
acquistare la stessa quantità di prodotti dall'estero. Ciò potrebbe portare
anche a politiche del commercio internazionale inedite, almeno in tempi
recenti. Questo di fatto sarebbe la morte del mercato unico europeo.
Infatti si è parlato molto di aree differenziate...
Euro
a due velocità - se ne è parlato soprattuto in Francia. Non so fino a che punto
sarebbe la soluzione. Questo tipo di passaggio comporterebbe una uscita
dall'euro comunque concordata. Ma nessuna forza politica e nessun governo, mi
sembra, ha oggi il coraggio e la capacità di pilotare una decisione del genere.
Se l'euro si rompe è per la spinta dei mercati finanziari. E' un po il segno
dei tempi, agire sempre di rimessa rispetto ai movimenti finanziari speculativi
internazionali.
Come si sta configurando la posizione degli Usa?
Gli
americani temono molto ciò che sta accadendo. Primo, la profonda recessione a
causa delle politiche di austerità, perché rende a loro difficile la ripresa;
ma soprattuto temono il caos che potrebbe uscire da una situazione del genere.
Austerità più speculazione possono determinare gravi crisi bancarie.E' per
questo che nelle ultime settimane hanno intensificato la loro pressione nei
confronti della Germania, che comunque dura già da tempo - ma, mi sembra, senza
grande successo. Hanno comunque favorito l'aumento della dotazione del Fondo
monetario internazionale per un eventuale intervento di stabilizzazione sui
mercati finanziari.
Qualche apertura la Germania sembra averla messa in campo.
Quello che si profila come aperture è di gran lunga troppo poco rispetto alla
gravità della situazione. Vi è poi molta ambiguità nella richiesta della
Germania di "più Europa" o "più integrazione". Il fiscal
compact non è più Europa ma solo più controllo sulla politica fiscale dei vari
paesi lungo la linea di sempre - cioè quella del rigore. Questo tipo di
interventi porta a una crescente perdita di democrazia perché i parlamenti e i governi
nazionali hanno sempre meno possibilità di scelta e il potere va a non meglio
identificati organismi tecnici. Tra i tedeschi forse qualcosa si muove ma ho l'impressione
che siano voci minoritarie. Anche nella Spd che è divisa al suo interno non è
chiaro quale sia la voce prevalente. Credo che una sua vittoria elettorale
porterebbe ad una maggiore apertura rispetto alla Merkel, ma non è chiarissimo
cosa vogliano fare.
Cosa occorre fare?
I passi indispensabili non necessariamente sono una integrazione politica
quanto una definzione di alcune politiche eueopee all'interno dei quali i
singoli paesi possono determinare un loro percorso verso la ripresa: fermare la
speculazione attraverso l'intervento della BCE e attenuare significativamente i
vincoli della politica fiscale nazionale. A ciò sarebbe necessario aggiungere
dei progetti significativi di spesa a
livello europeo, ad esempio in grandi infrastrutture. Questi potrebbero essere in parte finanziati con una tobin tax, dalla Banca Europea degli Investimenti, e poi dai cosiddetti europroject bonds: titoli emessi a livello europeo e garantiti dalla BCE. Però è assolutamente necessario anche ridurre il grado di rigore richiesto ai singoli paesi. Nessuna di queste politiche però oggi è nell'ordine delle cose, sembra.
Molti parlano di conto alla rovescia
livello europeo, ad esempio in grandi infrastrutture. Questi potrebbero essere in parte finanziati con una tobin tax, dalla Banca Europea degli Investimenti, e poi dai cosiddetti europroject bonds: titoli emessi a livello europeo e garantiti dalla BCE. Però è assolutamente necessario anche ridurre il grado di rigore richiesto ai singoli paesi. Nessuna di queste politiche però oggi è nell'ordine delle cose, sembra.
Molti parlano di conto alla rovescia
Da un lato è chiaro che i paesi stanno andando sempre più in recessione. E
questo ha un prezzo sociale ed economico sempre più elevato. E poi c'è la
questione dei mercati finanziari. Se si accentua la speculazione verso i titoli
pubblici e i tassi di interesse aumentano sempre di più può diventare
impossibile per i paesi sostenere il pagamento degli interessi. O se la
speculazione ribassista rende impossibile per i paesi collocare i titoli
pubblici ecco che si presenta il default. Finché resta tutto confinato ai paesi
piccoli è possibile intervenire con prestiti, ma quando nel gioco entrano paesi
come la Spagna e l'Italia il gioco diventa poco gestibile, anche perchè non si
permette alla Bce di svolgere, come le altre banche centrali, il ruolo di
garante e prestatore di ultima istanza. I tempi sono difficili da prevedere, ma
non penso che ci sia molto tempo a disposizione. Anche con il nuovo governo la
Grecia sta pagando il 30% di interessi sul debito pubblico, il suo reddito e
l'occupazione continuano a cadere. Quanto potrà reggere?
Non si era già visto tutto nel 29?
Certo. E in un certo senso tutto quello che stiamo vedendo era assolutamente
prevedibile come scrivemmo nella lettera degli economisti nel 2010. Non c'è
niente di cui sorpendersi. C'è molta disinformazione. Molti parlano di
catastrofismo... ma nell'eventualità di una rottura dell'euro, quello che può
accadere è che dopo la fase di turbolenza ci può essere una nuova fase di
crescita. Sicuramente un eventuale disfacimento dell'euro porta caos e
ristrettezze in una prima fase. Ma se gestita bene, con una banca centrale in
grado di prendere in mano le redini della politica monetaria, l'Italia potrebbe
farcela: ha una base manifatturiera importante che con un pò di svalutazione e
una ripresa
della domanda interna potrebbe riprendersi.
della domanda interna potrebbe riprendersi.
Insomma, una scelta tra due mali..Sì ma anche la terza via...
Se ci fosse la volontà politica di fare crescita all'interno dell'Europa,
sarebbe più semplice. L'Europa strutturalmente basterebbe a se stessa. Con l'abbassamento
dei tassi di interesse sul debito pubblico, stimoli fiscali all'economia,
migliore distribuzione del reddito: l'Europa potrebbe riprendersi rapidamente
anche se poi dovrebbe comunque operare per correggere alcuni squilibri
strutturali tra paesi forti e paesi deboli. Il problema è che la volontà
politica d i far questo non c'è. Vediamo invece austerità, tassi di interesse
lasciati decidere dalla speculazione, e distruzione di base produttiva, crisi
bancarie. Questa Europa non può funzionare, diventa un cappio mortale. Il punto
che non è ben colto dall'opinone pubblica è che la recessione non è una cosa
che ci sta capitando ma il risultato preciso delle politiche di austerità.
L'Italia sta un quinto sotto nel livello della produzione industriale rispetto
al livello pre-crisi...
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