La crisi del debito pubblico
in Europa impone dure misure restrittive che si abbattono su una situazione
economica già critica. Secondo le istituzioni internazionali e i governi
nazionali non c’è altra via d’uscita: pagare il debito è l’unica cosa da fare.
La gente protesterà, ma non si può vivere perennemente al di sopra dei propri
mezzi.
Lo stato deve ora onorare i
suoi debiti, anche a costo di adottare misure impopolari. Niente mostra meglio
la distanza che esiste tra stato e popolo della rabbia sociale espressa fuori
del Parlamento greco, mentre all’interno gli onorevoli onoravano i loro impegni
con la comunità internazionale, approvando i provvedimenti indicati dalla Banca
centrale europea, l’Unione europea e il Fondo monetario internazionale, in difesa
del potere bancario. Senza più alcuna mistificazione, lo stato schiaccia il
proprio popolo, come misura necessaria a salvare il capitale internazionale.
In Italia, qualche ministro
piange al pensiero che milioni di pensionati non arriveranno più a fine mese,
ma non si dimette di certo: perché qualcuno il lavoro sporco dovrà pur farlo.
“Misure impopolari, ma necessarie”, questo è il ritornello. Perché, appunto, la
necessità è salvare le banche, anche a costo di sacrificare il popolo.
Gli stessi partiti di
sinistra con ambizioni di governo faticano a dire qualcosa di sinistra perché
la prima preoccupazione, per loro come per ogni partito borghese, non è il
popolo che dovrebbero rappresentare, ma la stabilità del sistema, la
solvibilità delle banche e la tenuta delle istituzioni finanziarie
internazionali. Da questo punto di vista, ben vengano i governi tecnici: così
sembra che le misure impopolari le prendano loro, senza che destra e sinistra
se ne assumano direttamente la responsabilità politica (anche se, ovviamente,
sono comunque parlamentari di destra e di sinistra che approvano le manovre dei
governi tecnici).
In questo quadro, la nascita
di un movimento che si oppone al pagamento del debito pubblico costituisce una
novità politica significativa. Riconsiderare il debito, ed eventualmente
ripudiarlo, per molti militanti significa rimettere in discussione i meccanismi
che strangolano i debitori per il bene dei creditori, attaccare i principi
sacri della proprietà privata, capovolgere l’assioma che antepone i profitti di
banche e imprese ai bisogni di uomini e donne. Ma può significare anche una
cosa completamente diversa: “default controllato”, che in fondo è quanto chiede
il capitale.
Nella proposta di
rinegoziare il debito, insomma, si intrecciano potenzialità rivoluzionarie e
rischi politici restauratori che devono essere attentamente valutati. In questo
articolo, esamino criticamente la proposta del movimento contro il debito che
si sta sviluppando in diversi paesi europei e faccio alcune considerazioni sul
ruolo di una simile lotta all’interno di un percorso anti capitalista.
Nessun commento:
Posta un commento