lunedì 25 giugno 2012

RIFORMISMO E ANTICAPITALISMO NEL MOVIMENTO NO-DEBITO


La crisi del debito pubblico in Europa impone dure misure restrittive che si abbattono su una situazione economica già critica. Secondo le istituzioni internazionali e i governi nazionali non c’è altra via d’uscita: pagare il debito è l’unica cosa da fare
La gente protesterà, ma non si può vivere perennemente al di sopra dei propri mezzi.

Lo stato deve ora onorare i suoi debiti, anche a costo di adottare misure impopolari. Niente mostra meglio la distanza che esiste tra stato e popolo della rabbia sociale espressa fuori del Parlamento greco, mentre all’interno gli onorevoli onoravano i loro impegni con la comunità internazionale, approvando i provvedimenti indicati dalla Banca centrale europea, l’Unione europea e il Fondo monetario internazionale, in difesa del potere bancario. Senza più alcuna mistificazione, lo stato schiaccia il proprio popolo, come misura necessaria a salvare il capitale internazionale.

In Italia, qualche ministro piange al pensiero che milioni di pensionati non arriveranno più a fine mese, ma non si dimette di certo: perché qualcuno il lavoro sporco dovrà pur farlo. “Misure impopolari, ma necessarie”, questo è il ritornello. Perché, appunto, la necessità è salvare le banche, anche a costo di sacrificare il popolo.

Gli stessi partiti di sinistra con ambizioni di governo faticano a dire qualcosa di sinistra perché la prima preoccupazione, per loro come per ogni partito borghese, non è il popolo che dovrebbero rappresentare, ma la stabilità del sistema, la solvibilità delle banche e la tenuta delle istituzioni finanziarie internazionali. Da questo punto di vista, ben vengano i governi tecnici: così sembra che le misure impopolari le prendano loro, senza che destra e sinistra se ne assumano direttamente la responsabilità politica (anche se, ovviamente, sono comunque parlamentari di destra e di sinistra che approvano le manovre dei governi tecnici).

In questo quadro, la nascita di un movimento che si oppone al pagamento del debito pubblico costituisce una novità politica significativa. Riconsiderare il debito, ed eventualmente ripudiarlo, per molti militanti significa rimettere in discussione i meccanismi che strangolano i debitori per il bene dei creditori, attaccare i principi sacri della proprietà privata, capovolgere l’assioma che antepone i profitti di banche e imprese ai bisogni di uomini e donne. Ma può significare anche una cosa completamente diversa: “default controllato”, che in fondo è quanto chiede il capitale.

Nella proposta di rinegoziare il debito, insomma, si intrecciano potenzialità rivoluzionarie e rischi politici restauratori che devono essere attentamente valutati. In questo articolo, esamino criticamente la proposta del movimento contro il debito che si sta sviluppando in diversi paesi europei e faccio alcune considerazioni sul ruolo di una simile lotta all’interno di un percorso anti capitalista

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