mercoledì 6 giugno 2012

POPOLO SENZA SOVRANITÀ, DESTINATO AL MUGUGNO O ALLA PIAZZA

Non ha voce né in Italia né in Europa, sudditanza ai circuiti finanziari internazionali. Per il 55% degli italiani continua la luna di miele con il governo dei «tecnici». Che fare? Divisi sul «fiscal compact» (51% i favorevoli), il 22% è disposto ad andare in pensione più tardi per ridurre il debito pubblico

Cittadini senza sovranità, né nel proprio Paese né in Europa. Per gli italiani la sovranità perduta è quella del cittadino. Il 75% ritiene che la propria voce non conti nulla in Europa. Solo tra i greci si registra una percentuale più alta di persone che la pensano così (l’84%) e anche tra gli spagnoli la quota è elevata (68%), superiore al valore medio dell’Unione europea (61%). Sono invece convinti del contrario soprattutto gli olandesi e i tedeschi, dove le percentuali di chi crede di non contare in Europa si riducono rispettivamente al 43% e al 44%. Il 77% degli italiani ritiene di non avere sovranità neppure nel proprio Paese, così come l’84% dei greci e più della metà degli spagnoli (52%). Al contrario degli olandesi e dei tedeschi, convinti che la propria voce conti nel proprio Paese rispettivamente nell’81% e nel 70% dei casi. Non c’è sovranità dei cittadini né in Italia né in Europa, è forte il senso di impotenza rispetto ai processi decisionali, ed è ampio il gap tra le opinioni della gente comune e le decisioni dei leader politici: la pensa così il 91% degli italiani, come il 93% degli spagnoli e il 96% dei greci.

Chi ha il potere reale? Per centocinquant’anni siamo stati abituati all’idea che la sovranità sta nello Stato, e nella politica che lo gestisce ai vari livelli, ma oggi ci rendiamo conto ogni giorno di più che la sovranità è altrove. Chi esercita il potere reale «nel» e «sul» nostro Paese in questa fase? Naturalmente, per la maggioranza degli italiani (il 57%) è ancora il governo nazionale, ma per il 22% l’Unione europea, per un ulteriore 22% i mercati finanziari internazionali, per il 13% gli organismi sovranazionali (dal Fondo monetario internazionale alla Banca mondiale). Lo rivela un’indagine del Censis, che mostra come la geografia percepita dei poteri reali varia però considerevolmente tra i diversi gruppi sociali. Solo per il 45% dei soggetti con titolo di studio più elevato la sovranità risiede ancora nel governo nazionale, per il 25% è stata ceduta all’Unione europea. E sono in molti a pensare che la sovranità non sta più non solo nello Stato, a volte persino umiliato da decisioni imposte dall’esterno, ma neanche negli organismi sovranazionali, ormai svuotati della loro base di rappresentanza degli Stati membri e spesso ridotti a meri portavoce dei vincoli che i mercati impongono alle comunità nazionali. Per il 27% degli italiani laureati la sovranità è slittata sempre più in alto, nel potere incontrollato della finanza internazionale. E il popolo? Sovrano in Costituzione, destinato al mugugno o alla piazza. La sudditanza ai circuiti finanziari internazionali percepita a livello sociale convive infatti con la convinzione che le istituzioni nazionali avrebbero potuto fare di più. Si riversa così sulla politica, e più ancora sul personale politico dei partiti, la delusione per non avere saputo mediare tra le dinamiche finanziarie globali e la vita quotidiana dei cittadini.

Legittimati i «tecnici», ma i giovani non sono d’accordo. C’è la sensazione di un potere reale inutilizzato o male utilizzato da governi e parlamenti nazionali, che in molti Paesi ha alimentato le retoriche più estremiste, che hanno finito per coalizzarsi contro le élite europeiste. Ma in Italia il processo non si è ancora spinto così in là. Da noi vince una retorica antipartitica piuttosto che antielitaria: oggi l’élite dei «tecnici» è ancora beneficiaria di una luna di miele che li vede come salvatori rispetto all’inconcludenza della politica del passato. La magia della competenza esercita il suo fascino, visto che il 55% degli italiani pensa che al vertice della cosa pubblica ci sia bisogno soprattutto di persone competenti, non importa se non elette dal popolo, non importa se prendono decisioni impopolari. Per il restante 45% c’è invece bisogno di rappresentanti votati democraticamente, che rispondano di quello che fanno di fronte agli elettori. I giovani (tra 18 e 29 anni), più frustrati degli altri dalle mediocri prospettive per il loro futuro, sono quelli che subiscono di meno il fascino del potere taumaturgico dei tecnici: per il 54% è giusto che a governare siano rappresentanti espressi dai cittadini, con una chiara imputazione di responsabilità.
Sì all’Unione europea, ma con riserva. Il 67% degli italiani ritiene che oggi la Ue disponga già di poteri e strumenti sufficienti per difendere gli interessi economici dell’Europa nell’economia globale e che quindi non vadano rafforzati (la percentuale è superiore alla media europea: 61%). Il 46% pensa che non ci debbano essere ulteriori accelerazioni nello sviluppo di comuni politiche europee e che, se ci sono Paesi pronti per saltare a un livello più alto di unificazione, devono aspettare che anche gli altri lo siano. Il dato degli italiani che la pensano così è superiore a quello medio europeo (40%) e si colloca a un livello intermedio tra quello rilevato in Olanda (23%) e Germania (30%) ‒ Paesi fautori di un’accelerazione da parte di pochi Paesi di punta ‒ e quello delle più attendiste Spagna (57%) e Grecia (68%).

Italiani divisi sul «fiscal compact». Prevale però l’incertezza su quali siano le iniziative utili per fare uscire il Paese dalla crisi. Il 42% degli italiani dichiara esplicitamente di non sapere che cosa sarebbe giusto fare, mentre per il 41% è forte la tentazione di accettare l’eterodirezione, uniformandosi passivamente alle indicazioni della Ue e applicando i piani di risanamento finanziario, nella speranza che non comportino solo sacrifici, ma che siano la via della salvezza. C’è poi un 17% di nazionalisti a oltranza: quelli che non accettano imposizioni dall’esterno e sarebbero disposti anche a uscire dall’euro, perché difendere la nostra sovranità è più importante di qualsiasi altra cosa. Gli italiani sono divisi sul «fiscal compact», cioè l’idea di imporre per legge che il deficit venga mantenuto entro i limiti fissati a livello europeo e che, in caso di sforamento, scatti automaticamente l’obbligo di tagliare la spesa pubblica o di aumentate la tassazione. Il 51% è favorevole, il 49% è contrario. Le persone meno scolarizzate sono in prevalenza contrarie (72%), i laureati sono in maggioranza favorevoli (57%), nel Nord-Est si registra la percentuale più alta di ostili al «fiscal compact» (54%), nel Mezzogiorno la quota più alta di bendisposti (55%).

Disponibili a sacrificarsi per ridurre il debito pubblico. Che cosa sarebbero ragionevolmente disposti a fare gli italiani per ridurre il debito sovrano? Il 22% si dichiara pronto ad andare in pensione più tardi, un ulteriore 22% a pagare di più alcuni servizi pubblici, il 21% a versare una tantum una tassa ad hoc, il 18% a destinare allo Stato ore di lavoro extra. Per tagliare il debito pubblico, il 76% si dice disposto anche a chiedere sempre le ricevute fiscali, anche se così si paga di più, e il 67% a denunciare tutti gli evasori di cui si viene a conoscenza. 

1 commento:

  1. perchè non lo visiti e scrivi qualche pezzo?
    mugugnoblog.wordpress.com

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