mercoledì 27 giugno 2012

ROMA: FARE COMUNITÀ, UNICA VERA RICETTA PER USCIRE DALLA CRISI


Città accogliente e inclusiva, tenuta insieme da famiglie e reti informali. I disagi sociali: 106mila famiglie a basso reddito, 107mila non autosufficienti, 80mila disabili, 74mila giovani che non studiano e non lavorano, 63mila disoccupati di lungo periodo, 29mila persone con almeno cinquant’anni alla ricerca di un lavoro. I tagli al welfare imposti dal governo potrebbero colpire fino al 40% dei beneficiari. Si può ripartire creando occupazione: 400mila romani pronti a mettersi in proprio

Una città accogliente e inclusiva. A Roma più di un maggiorenne su tre (850mila persone) non è nato nella capitale. I maggiorenni romani di seconda generazione, con entrambi i genitori nati a Roma, sono 626mila. Gli altri hanno almeno un genitore nato altrove o non sono nati a Roma. La capitale è da sempre una città che accoglie e integra persone provenienti da territori vicini e lontani, un formidabile magnete che attrae persone a caccia di opportunità: 350mila sono gli stranieri residenti, 145mila le persone di almeno 18 anni nate in altri comuni del Lazio, 97mila quelle provenienti dalla Campania e 78mila dalla Puglia. Riguardo alle province di provenienza, prevale quella di Roma (da dove arriva l’8,6% dei non nativi), seguono quelle di Napoli (6,5%), dell’Aquila (3,5%), poi Latina, Foggia, Frosinone e Bari. La comunità romana è il frutto di persistenti flussi di persone in entrata, per questo ancora oggi si può dire che «romani si diventa».

La famiglia vero «tondino» della comunità. Le relazioni familiari sono il cuore della comunità romana: dall’affettività alle esigenze concrete, tutto ruota intorno alla famiglia, tanto che si tende, per quanto possibile, a vivere in prossimità dei parenti. Più del 50% dei romani con almeno 18 anni abita con i genitori o vive a un massimo di 30 minuti a piedi da loro (un quarto vive a meno di 15 minuti). Il 48% ha parenti stretti a un massimo di 30 minuti a piedi dalla propria abitazione (il 33% a meno di 15 minuti). Nella scelta dell’abitazione, oltre al prezzo e alle caratteristiche, conta la possibilità di vivere nei pressi di genitori, parenti, amici: il 67% dei romani ha amici stretti a un massimo di 30 minuti a piedi da casa. La famiglia è uno degli attori decisivi del welfare romano: nella capitale ci sono 45mila famiglie con badanti, 20mila con baby sitter, 265mila contano su forme di aiuto familiare. Si stima che le famiglie spendano per badanti e baby sitter circa 800 milioni di euro all’anno. Ci sono poi le spese per servizi e prestazioni di tutela: in un anno 853mila famiglie hanno sostenuto spese sanitarie private, 508mila hanno pagato le attività sportive, 91mila lezioni private (ripetizioni scolastiche, attività formative, ecc.), 424mila polizze assicurative private (sanitarie, previdenziali, ecc.).

Il collante delle reti informali, dal volontariato all’associazionismo. Quasi 470mila romani dichiarano di dedicarsi in modo regolare (213mila) o saltuariamente (253 mila) ad attività di volontariato informale e organizzato. Si tratta di più di 61mila giovani con età fino a 29 anni, 125mila adulti con età tra 30 e 44 anni, 170mila tra 45 e 64 anni, 110mila anziani. Il 45% dei romani è iscritto o partecipa alle iniziative di varie associazioni (sportive, ambientaliste, culturali, ecc.) presenti in modo capillare sul territorio.

L’importanza delle relazioni di prossimità, dal vicinato al quartiere. La comunità romana è tenuta insieme da famiglie e reti informali. La prossimità territoriale conta meno, ma guai a cedere a visioni riduttive dei quartieri, anche periferici, perché ovunque in città, periferie incluse, esiste una fitta rete di relazioni sul territorio. Il vicinato è considerato dal 30% dei romani una forma di comunità dove ci si conosce, frequenta ed eventualmente aiuta. Il quartiere è per molti uno spazio di relazioni importante, visto che il 36% dei romani dichiara di partecipare ad attività ed eventi che si realizzano nei territori, il 32% svolge gran parte delle relazioni sociali in piazza o al bar, il 25% è direttamente coinvolto nella soluzione dei problemi del quartiere.

I disagi sociali a Roma. Come in tutte le grandi città, a Roma è presente una pluralità di forme di disagio sulle quali occorre intervenire. Ci sono 107mila non autosufficienti e 80mila disabili, 74mila giovani che non studiano e non lavorano, 131mila persone che vorrebbero andare a vivere per conto proprio ma non ci riescono a causa dei costi elevati delle case, 63mila disoccupati di lungo periodo, 29mila persone con almeno cinquant’anni alla ricerca di un lavoro, 106mila famiglie a basso reddito, nelle quali si contano 62mila persone che lavorano (working poor). Si stimano in circa 40mila le famiglie in cui si sommano almeno tre forme di disagio. E crescono le vulnerabilità potenziali. C’è stato un vero boom del numero di persone che vivono sole: 303mila in più negli ultimi dieci anni. Dai disagi nasce una domanda imponente di welfare che Roma deve affrontare, con il rischio che i tagli imposti dal governo colpiscano in città fino al 40% degli attuali beneficiari di servizi, interventi, prestazioni di assistenza.

Boom delle persone sole. A Roma è esploso il numero delle persone sole, quelle che fanno famiglia a sé. Erano 292mila nel 2001, sono diventate 596mila nel 2010 (303mila in più), con un ritmo di crescita media annua del 7,4%. I nuclei unipersonali in città erano poco più del 28% del totale delle famiglie romane nel 2001, sono diventati il 44% nel 2010. Nel quinquennio più recente (2005-2010) l’incremento è stato ancora più intenso: +11,7% pari a 62.500 persone in più. Il boom è evidente nel Municipio I (+29%, 12mila persone sole in più) e nel Municipio VIII (+36%, 9.200 persone sole in più). Incrementi percentuali a due cifre si sono registrati anche nei Municipi VII (+14,6%), XII (11,4%), XIII (+16,5%), XIX (+13%) e XX (+10,8%).

Non c’è il rischio banlieue a Roma. Il 55% dei residenti in periferia definisce medio il livello socio-economico della propria famiglia, un dato analogo a quello rilevato nei quartieri semiperiferici e del centro. E il disagio a Roma non è concentrato come nelle banlieue parigine. Nei rioni del centro ci sono più famiglie con persone non autosufficienti (l’8% contro il 7% della periferia), mentre nei quartieri periferici sono più alti i livelli di disagio nel rapporto con il lavoro (il 6% di famiglie con giovani che non studiano e non lavorano e il 6% con disoccupati di lungo corso). Nella periferia prevale l’eterogeneità sociale, con una robusta presenza di impiegati (il 46% dei capofamiglia contro il 37% registrato in centro), insegnanti (il 6% contro il 10%), liberi professionisti (il 14% contro il 26%). Nei quartieri della periferia le famiglie proprietarie dell’abitazione in cui vivono sono l’82%, rispetto al 71,5% registrato nei quartieri del centro. Il 78% delle abitazioni in periferia ha il collegamento a Internet, il 77% in centro.

Tutto intorno a me. I servizi e le attività che i romani si trovano a una distanza di quindici-venti minuti a piedi da casa: la spesa alimentare (l’89,4% dei residenti) e quella non alimentare (70,5%), le pratiche spirituali, come andare a messa (87,3%), la cura del corpo, dallo jogging alla palestra, alla piscina (75%), il medico di medicina generale (74,9%), gli spazi di gioco per i bambini (73,2%), i servizi sociali di riferimento (57,4%), la scuola per i figli (54,4%), cinema, teatri e musei (38,2%). Il 20% dei romani arriva al posto di lavoro in quindici-venti minuti a piedi, il 32% in meno di mezz’ora, il 34% entro un’ora, il 14% in un’ora e mezza al massimo, e solo il 20% impiega più di un’ora e mezza.

Il destino futuro della città secondo i romani e i «nuovi romani». Nel 2020 Roma sarà più aperta al mondo (lo pensa il 76% dei romani), più dinamica (72%) e più solidale (59%). Molto positiva anche la visione dei migranti, vero motore della crescita della città, visto che l’80% è qui per restare e il 62% ha aspettative crescenti, con la convinzione che i figli staranno meglio di loro. Per i romani la città è comunque destinata a correre verso il meglio. Di questo sono ancora più convinti i migranti: il 60% ritiene che nei prossimi cinque o dieci anni i più bravi riusciranno a emergere nel mondo del lavoro, per il 50% accadrà altrettanto nell’imprenditoria per gli immigrati che hanno la grinta per farcela, il 65% crede che i figli dei migranti riusciranno sempre di più a superare le difficoltà nella scuola e quelli con più talento si affermeranno.

2025: una città di longevi, di donne, di stranieri. Nel 2025 abiteranno a Roma 158mila persone in più, pari al 5,7% in più dell’attuale popolazione, che supererà i 2,9 milioni di persone. Aumenteranno di più le donne (+6,6%, 97mila in più), le persone in età attiva, di 15-64 anni (+4,7%, 85mila in più), gli anziani, con 65 anni e oltre (+15,8%, 92mila in più), gli ultraottantenni (+43,7%, 73mila in più). Due saranno le tendenze forti della popolazione cittadina: longevità e femminilizzazione. E le donne saranno la componente di gran lunga più consistente dei longevi: nel 2025, dei 677mila anziani che abiteranno a Roma, 405mila saranno donne. Se proseguiranno i trend registrati finora, nel 2025 a crescere di più saranno ancora i Municipi VIII (+48%, 49mila residenti in più) e XIII (+26,5%, 57mila in più).

Via libera alla voglia di autoimpiego, risorsa per una buona politica sociale cittadina. Date le dinamiche demografiche e l’evoluzione dei bisogni sociali, non ci sarà budget pubblico in grado di finanziare una copertura adeguata nel prossimo futuro se non riparte la creazione di occupazione. Servono 53mila posti di lavoro di qui al 2020 per mantenere l’attuale livello di occupazione e 203mila per raggiungere il tasso di benchmark europeo. Decisiva sarà la capacità di attivare la voglia di autoimprenditorialità che si stima possa coinvolgere complessivamente 400mila romani. Infatti, 161mila cittadini si dichiarano intenzionati ad aprire una piccola impresa, 135mila un’attività commerciale, 103mila un’attività artigianale, 99mila una cooperativa sociale insieme ad altre persone. La capitale non ha bisogno di grandi carrozzoni pubblici per creare occupazione fittizia, ma di condizioni favorevoli per dispiegare le sue energie potenziali. Così il lavoro potrà essere il vero veicolo della coesione comunitaria.

Valorizzare le diversità, impedire che diventino fratture. Tolleranti (38%), generosi (24%), collaborativi (21%) e laboriosi (19%): sono questi gli aggettivi con cui i romani si descrivono. Ci sono però diversità che rischiano di generare slabbramenti del tessuto cittadino e una potenziale conflittualità. I romani si sentono più distanti in primo luogo dalle persone con una diversa posizione politica (37%), poi da quelle appartenenti a un’altra classe sociale (21%), un altro livello culturale (18%), un’etnia diversa (13%), un’altra religione (12%), un altro quartiere (10%), un’età differente (8%). Riguardo ai valori di cui la città avrà più bisogno per essere migliore, è il rispetto quello richiamato più spesso (51%), poi la solidarietà (40%), la tolleranza (33%), la responsabilità (19%), la moralità (15%). Il rispetto è un valore indispensabile affinché diverse identità e aspettative, stili di vita e interessi differenti, molteplici traiettorie socio-economiche possano coesistere virtuosamente, senza diventare fonte di una conflittualità diffusa.

Questi sono i principali risultati del rapporto «Il valore del sociale a Roma», presentato oggi da Giuseppe De Rita, Presidente del Censis, nell’ambito degli Stati Generali del Sociale e della Famiglia di Roma Capitale, a cui sono intervenuti, tra gli altri, il Sindaco di Roma Gianni Alemanno, il Vicesindaco Sveva Belviso, l’Assessore alla Famiglia, all’educazione e ai giovani Gianluigi De Palo, il Ministro per la Cooperazione internazionale e l'Integrazione Andrea Riccardi, il Vescovo ausiliare di Roma Guerino Di Tora.

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