Con
il CAF le tangenti erano illegali, con le società private che gestiscono denaro
pubblico sono legali: lo vogliono il 95% dei nostri deputati. La si può
chiamare omertà?
Nel
totale silenzio dei nostri media, il 5 giugno 2012 la Camera dei nostri
onorevoli deputati ci ha chiarito quale sia la loro etica di riferimento:
quella dell'omertà.
Vent'anni fa, con le indagini di "mani pulite", i politici italiani hanno temuto di essere scoperti con la mazzetta della tangente in mano, se non nelle mutande, o nel cassonetto o nel puff del salotto buono: urgeva trovare una soluzione! E la soluzione fu trovata nel "modello Tav". Ci avevano lavorato speculatori di chiara fama come Giovanni Agnelli, ma ci aveva messo dentro lo zampino anche la P2 e si poteva contare su statisti della statura di Cirino Pomicino e su noti faccendieri come Pacini Battaglia.
Il sistema era semplice: si sosteneva che un'opera pubblica sarebbe stata realizzata con i soldi dei privati che a tal scopo costituivano una società privata (ad es. TAV Spa) con tanti soldi privati e un po' di soldi pubblici. In realtà i privati non ci mettevano proprio niente, alcune banche solo formalmente private ce ne metttevano un po', ma soprattutto aprivano grandi crediti, lucrando poi sugli interessi.
La "società privata" Tav non era controllata dalla Corte dei Conti, che deve monitorare i conti pubblici e non quelli privati; quindi la Tav poteva versare tutte le tangenti che voleva in tutte le forme che preferiva: appalti gonfiati, mediazioni, assunzioni, consulenze, lussuosi posti in vari CdA e quant'altro si potesse inventare: tanto -formalmente- mica erano soldi pubblici!
Con queste "tangenti legalizzate" si potevano comprare consensi di politici di tutti gli schieramenti, commenti entusiasti di tanti giornalisti e opinionisti importanti: ce n'era di olio per ungere tutte le ruote! Così non ci si accorse della truffa.
Fino al 2005 quando l'Unione Europea impose all'Italia di fermare quella truffa e quell'enorme "debito occulto".
Un disastro? Tutt'altro!
La Fiat poteva rassicurare tutti: Giovanni Agnelli aveva già mandato in scena diverse volte, sempre con gran successo, la sua sceneggiata preferita: "Privatizzazione dei guadagni e socializzazione delle perdite"; infatti a dicembre 2006 (governo Prodi), con la finanziaria 2007, lo Stato italiano si accolla tutti i debiti della società privata Infrastrutture Spa (cioè di Tav Spa).
Fu così che tante amministrazioni preferirono appaltare le loro funzioni pubbliche a società private, a cui l'amministrazione "partecipava" mettendoci una parte, ma anche tutto, del capitale: negli ultimi vent'anni sono nate migliaia di "partecipate" o "controllate".
Le partecipate sono una vera pacchia: i soldi veri sono pubblici, ma la forma è privata, quindi se il CdA o il Direttore o il Presidente lo vuole, si può assumere anche l'amica o il figlio con chiamata diretta senza alcun obbligo di concorso, fregandosene anche dei blocchi delle assunzioni nel pubblico impiego e dei tagli lineari. Se si vuole pagare un bene o un servizio il triplo, non c'è problema: la Corte dei Conti e le "spending review" non possono ficcare il naso nelle società private! Se si accumulano debiti e si pagano interessi spropositati, non c'è problema: nel privato nessuno ente pubblico controlla niente, perché si ritiene che il controllo sia un problema del "padrone" che aveva l'unico obbligo di presentare bilanci veritieri; ma causa un processo a Berlusconi anche quell'obbligo è sparito.
Sono anni che la Corte dei Conti denuncia che con le partecipate e le controllate si spendono soldi pubblici al di fuori del loro controllo contabile: alti magistrati quali Mazzillo e Nottola, relazionando sui conti 2011, hanno parlato di debiti fuori controllo: parrebbe che si tratti di 34 miliardi, ma forse soltanto per le controllate degli enti locali.
Nottola aveva chiarito: «moltissimi casi di disfunzione nelle società partecipate hanno origine proprio nella corruzione e nell'illegalità. La creazione di enti privati per le funzioni pubbliche è una scelta politica che ci sfugge. Se la cognizione del giudice contabile non comprende queste entità, larga parte delle pubbliche risorse sarebbe sottratta al sindacato del controllo pubblico. la soluzione di questo problema deve essere ricondotta alla responsabilità politica».
Traduzione: noi vediamo e vi denunciamo il problema, ma siete soltanto voi onorevoli politici ad avere il potere legislativo e quindi siete voi a dover risolvere.
Già: ma la casta vuole risolvere? La risposta è arrivata un mese fa.
Salvatore Vassallo, deputato Pd, aveva presentato alla Camera un emendamento ( N° 9.0250) al disegno di legge governativo anticorruzione che stabiliva, almeno per le "controllate", proprio ciò che la Corte dei Conti aveva chiesto: «Sono sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti anche gli amministratori e i dipendenti delle società direttamente o indirettamente partecipate dallo Stato o da altri enti pubblici, quando essi possiedano la maggioranza del capitale sociale o comunque ne esercitino il controllo...»
Purtroppo Vassallo stesso, visto che il suo emendamento non era gradito né alla commissione né al governo, ha deciso di ritirarlo. Però Di Pietro (Idv) lo ha ripresentato a suo nome e ha preteso che andasse in votazione alla camera. Così oggi noi, almeno sappiamo come la pensano i nostri dis-onorevoli sul fatto di controllare e -forse- reprimere o meno quelle corruzioni e quelle illegalità che avvengono attraverso le società controllate.
Camera, 5 giugno 2012. Presenti 519. Votanti 345. Astenuti 174: Maggioranza 173.
Hanno votato sì: 25. Hanno votato no: 320. La Camera respinge.
La nostra casta avrà qualche difettuccio, ma le si deve riconoscere che è proprio ben coesa.
di Geri Steve
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