venerdì 6 luglio 2012

SUICIDE REVIEW


La sedicente sinistra può vantare di aver appoggiato la più demenziale revisione della spesa statale che si ricordi a memoria d'uomo.

Quando ci troviamo a spiegare la situazione politica italiana a degli amici stranieri, questi ci guardano con il sospetto che abbiamo alzato un po' il gomito e poi ci dicono: "Sure?". Alla risposta "yes, that's what it is" alzano le sopracciglia e cambiano educatamente discorso, probabilmente ripromettendosi di verificare quanto gli abbiamo detto.
Non è oggettivamente facile far capire che dopo tre anni di disastroso governo Berlusconi (2008-2011) la sedicente sinistra italiana in Parlamento, invece di andare a votare come si fa in ogni democrazia che si rispetti, ha preferito appoggiare un governo tecnico estremamente liberista presieduto da un advisor della Goldman Sachs (e della Coca Cola Company) incaricato da un presidente della Repubblica anch'esso è di estrazione dell'area politica "sinistra". Il tutto per «senso di responsabilità» come continua a ripetere il disco rotto Bersani davanti a giornalisti televisivi sempre pronti a divulgare i diktat governativi a reti unificate.

Così in appena otto mesi di governo la sedicente sinistra può vantarsi di avere appoggiato riforme delle pensioni che faranno aggravare di molto la già penosa situazione della disoccupazione giovanile, la cancellazione di alcuni diritti fondamentali dei lavoratori conquistati con il sangue negli anni 70 come l'articolo 18 e da oggi potrà vantarsi anche di aver appoggiato la più demenziale revisione della spesa statale che si ricordi a memoria d'uomo.

L'ultima figura di grande spessore che la sinistra italiana ha prodotto in questo paese si chiamava Enrico Berlinguer. Egli amava ripetere che quando si chiedono sacrifici ai lavoratori, questi possono essere approvati se sono rispettate tre condizioni: la prima che chi li chiede abbia il consenso, la seconda che abbia la credibilità e la terza che abbia prima eliminato i privilegi.

Sul consenso di chi sta operando in questo paese non se ne può neanche parlare, visto che come abbiamo già detto questo governo è stato imposto da un presidente della Repubblica che ha preferito sottostare agli "amichevoli consigli" di oscure forze bancarie europee piuttosto che mandare il paese alle urne come costituzionalmente sarebbe stato suo dovere. Dato che il voto è l'unica forma di consenso democratica (non ci risulta che sia stato sostituito da improbabili sondaggi giornalistici) possiamo in tranquillità dire che Mario Monti e la sua banda di banchieri non ha nessun consenso misurabile.

Sulla credibilità stendiamo un velo pietoso: a parte le già citate collaborazioni imbarazzanti del presidente del Consiglio con le banche e le multinazionali (ovvero coloro che hanno generato la crisi che stiamo vivendo), ci si potrebbe dilungare sui suoi ministri che dichiarano ai giornalisti «il lavoro non è un diritto» facendosi riprendere in materia costituzionale anche dalla Lega Nord, o sono iscritti nel registro degli indagati per reati finanziari.

Arrivando infine all'eliminazione dei privilegi possiamo dire che non sono stati toccati se non in modo molto marginale; i provvedimenti di Monti sono infatti l'equivalente di un padre di famiglia che per mantenere il Suv risparmia sulla salute e sull'istruzione dei suoi figli. Non vogliamo neanche parlare dei sei miliardi annui che costa la Chiesa Cattolica su cui tante volte ci siamo dilungati su queste pagine; a colpirli non poteva essere certo un governo di ferventi cattolici (che le malelingue laiche credono sia nato durante il forum delle associazioni cattoliche a Todi che si è svolto casualmente un mese prima che cadesse Berlusconi). Ma neanche tutti gli altri privilegi legati alle caste politiche vengono messi in discussione da questo governo: parliamo di Agenzie statali che hanno l'unico scopo di dare lauti stipendi ai loro direttori nominati politicamente, parliamo dell'acquisto di caccia bombardieri, parliamo del costante rifiuto a collaborare con i lavoratori pubblici per individuare realmente gli sprechi delle amministrazioni.

Quando il Governo annuncia la diminuzione del 10% dei dipendenti pubblici l'italiano medio, sempre bravissimo a trovare il suo nemico in chi è un po' meno povero di lui, esulta perché da anni Striscia la Notizia gli fa vedere le immagini di assenteisti. Quello che gli sfugge, e quello che la tv non dice, è che con meno dipendenti pubblici ci saranno meno infermieri che lo cureranno quando starà male, meno impiegati che adempiranno alle sue pratiche burocratiche e quindi più giorni per avere un qualunque documento, meno tecnici che controlleranno che l'acqua che beve e l'aria che respira non sono inquinate.
Anche il tanto atteso taglio delle province è inferiore alle attese e destinato a creare (altri) conflitti locali. Se le province sono inutili allora è giusto sopprimerle, tutte. Sopprimerne solo metà significa creare paradossi assurdi come regioni con una sola provincia. Inoltre, tornare a dare alle province superstiti le competenze sull'ambiente quando ci sono le Arpa istituite a livello regionale significa per lo meno avere le idee poco chiare sulle tematiche che si stanno affrontando.

Il tutto, lo ripetiamo, con l'appoggio di un partito che continua, nonostante tutto, a pretendere di rappresentare le forze progressiste del paese.

Se dovessimo spiegare tutto ciò a uno straniero, questi si chiederebbe con quale faccia il Pd si potrà presentare alle elezioni del 2013 dopo aver partecipato alla macelleria sociale montiana. Facile: con le solite facce che continuano a impestare la politica italiana da tre decenni a questa parte. Le solite facce che o faranno un alleanza con l'Udc per sostenere un governo Monti bis o, per dare il contentino a quella parte di militanti che nonostante tutto continua a sostenerli, ripresenteranno la "solita" alleanza variopinta da Ichino ai comunisti per litigare dopo qualche mese di governo e ri-affidare il tutto a Monti.
In ogni caso c'è da scommettere che questo non sarà l'ultimo governo marchiato Goldman Sachs della storia d'Italia.

di Alessandro Chiometti 

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