Un filmato girato a Hebron
mostra due guardie di frontiera israeliane che aggrediscono il piccolo. Intanto
cresce il rischio legato alle esercitazioni delle unità speciali di Israele
di Michele Giorgio
Hebron, 04 luglio 2012, Nena
News - Il mondo dimentica i palestinesi nei Territori occupati da Israele.
La sanguinosa guerra civile siriana e altri scenari di crisi nella regione,
come l'Egitto, assorbono l'attenzione della comunità internazionale,
nascondendo violazioni ed abusi che subiscono i civili in Cisgiordania. La
cronaca quotidiana ne è piena. Una delle ultime denunce arriva proprio da un
centro israeliano per la tutela dei diritti umani, B'Tselem.
Lo scorso 29 giugno un attivista ha filmato due guardie di frontiera - un corpo paramilitare della polizia israeliana - impegnati ad aggredire con violenza Abdel Rahman Burqan, un bambino palestinese ad Hebron. Le immagini
Lo scorso 29 giugno un attivista ha filmato due guardie di frontiera - un corpo paramilitare della polizia israeliana - impegnati ad aggredire con violenza Abdel Rahman Burqan, un bambino palestinese ad Hebron. Le immagini
http://www.btselem.org/video/201200629_soldier_kicks_boy)
mostrano un agente nascosto nei pressi di un vicolo in attesa del bambino. Ad
certo punto salta fuori e con tono perentorio urla al piccolo: «Perché stai
causando un putiferio?». Abdel Rahman comincia ad piangere e a chiamare la
madre ed a questo punto che appare un altro agente della guardia di frontiera
che lo prende a calci.
Amer Burqan, il padre del
bambino, intervistato da Ynet, il sito online del quotidiano israeliano Yediot
Ahronot, ha assicurato che il figlio non aveva provocato in alcun modo i due
agenti o scagliato sassi contro di loro. L'uomo ha aggiunto che la polizia
israeliana non consente ai palestinesi il passaggio per il vicolo dove è stato
aggredito il figlio durante le festività ebraiche o durante i movimenti nella
zona dei coloni e che forse Abdel Rahman è stato picchiato per quella ragione.
Un portavoce israeliano ha
condannato l'aggressione, definendola «contraria ai valori» della guardia di
frontiera. Ha anche annunciato l'apertura di un'inchiesta. Sino ad oggi però le
indagini avviate sul comportamento di soldati e poliziotti verso i civili
palestinesi, raramente sono arrivate alla condanna effettiva dei responsabili.
Anche quando i palestinesi ci rimettono la vita.
Ne sanno qualcosa i fratelli
Shawakha che lo scorso marzo, convinti di trovarsi di fronte a dei ladri,
finirono invece sotto il fuoco di agenti di unità speciali israeliane. Uno dei
tre fratelli rimase ucciso. «Accadde tutto la notte del 27 marzo, intorno
all'una e trenta», ricorda Akram Shawakha che a quell'ora era sul terrazzo
della sua abitazione, nel villaggio di Rammun (Ramallah). «All'improvviso notai
nell'oscurità due uomini in abiti civili a pochi metri dall'ingresso di casa»,
prosegue Akram «svegliai i miei fratelli - Anwar di 39 anni e Rashad di 28 -
per avvertirli che qualcuno aveva cattive intenzioni».
Akram stesso affrontò gli
sconosciuti che parlavano perfettamente arabo. «Chi siete, domandai ai due
uomini, e uno di loro rispose: Non preoccuparti, a Rammun ci conoscono tutti ma
io volevo saperne di più e chiesi la loro carta di identità. A quel punto i due
tirarono fuori le armi e fecero fuoco». I tre fratelli Shawakha rimasero
feriti, Rashad spirò in ospedale il 2 aprile. Qualche giorno dopo si seppe dai
giornali israeliani che i due «sconosciuti» erano militari in esercitazione
dell'unità Dovdovan, formata da mistaravim, ossia soldati travestiti da
palestinesi. Il 24 aprile, su insistenza di B'Tselem, l'Esercito ha aperto
un'inchiesta ma da allora non ha fornito particolari sull'andamento delle
indagini. «Pensavamo fossero dei ladri, loro non ci hanno mai detto di essere
soldati» commentato con amarezza Akram Shawakha.
Le esercitazioni delle unità
speciali israeliane nei villaggi palestinesi sono sempre frequenti, denuncia la
ong Yesh Din. Nonostante i pericoli crescenti per i civili. «Da quando la
Cisgiordania è più calma, l'esercito ha intensificato il training nelle terre
occupate», rivela da parte sua Yehuda Shaul, uno dei fondatori di «Breaking
the silence», una organizzazione di ex militari che hanno scelto di «rompere il
silenzio». «Si scelgono i villaggi (palestinesi) meno coivolti nella rivolta
(contro l'occupazione) e quindi meno pericolosi per i soldati, è un fenomeno in
crescita», aggiunge Shaul. In queste ore tremano gli abitanti di Aqabah, dove
l'esercito sta svolgendo un'esercitazione. «Sappiamo che in altri villaggi
chiedono alle popolazioni di abbandonare le proprie case per alcune ore, fino
al termine delle manovre. Ma nel nostro caso tutto ciò non è avvenuto e ci
siamo ritrovati all'improvviso sotto coprifuoco», riferisce Adel, un abitante
di Aqabah. Nena News
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