La spending review del
governo ha inglobato una modifica sulla prescrizione dei farmaci, in cui si
impone al medico di indicare non il nome del farmaco, ma solo del principio
attivo. La novità proviene da un emendamento votato in commissione Bilancio al Senato
e naturalmente non è piaciuta alle case farmaceutiche, che non hanno nessun
interesse a promuovere l’adozione dei generici.
Secondo l’emendamento, i
medici sono tenuti ad indicare nella ricetta il nume principio attivo (ad
esempio acido acetilsalicilico) se esistono diversi farmaci equivalenti.
Potranno continuare ad avere i farmaci di marca solo i malati cronici che già
lo utilizzano.
Le associazioni dei medici di famiglia sono preoccupate dei “rischi” che una simile norma introdurrebbe, come l’importazione di principi a basso prezzo da paesi extra-Ue (vedi Cina).
Le aziende farmaceutiche
(rappresentate da Farmindustria) dal canto loro vedono minacciato il ricco mercato
dei farmaci di marca in Italia (il 90% dei farmaci venduti in Italia è di
marca, contro circa il 38% della Germania e circa il 30% della Gran Bretagna.
La media in Europa è il 50%).
Il medico che indicherà la
marca del farmaco dovrà aggiungere la motivazione per cui lo prescrive.
Per i medici di famiglia
indicare il principio attivo ingenererà confusione nella ricetta, con l’effetto
che il medico non saprà effettivamente quale farmaco effettivamente il paziente
utilizzerà. Inoltre, secondo il presidente della Federazione dei medici di
famiglia (Fimmg), Giacomo Milillo, non ci sarà un risparmio per il Servizio
Sanitario Nazionale, che comunque rimborsa solo il farmaco generico equivalente
a costo minore (ora l’eventuale differenza, se un paziente sceglie un farmaco
di marca, è a carico del paziente stesso).
Secondo il rapporto dell’Osservatorio sull’impiego dei medicinali dell’Aifa sull’uso dei farmaci nel 2011 la spesa pubblica per farmaci a carico del Servizio sanitario nazionale è stata pari a 12 miliardi, con un meno 4,6% rispetto al 2010.
Efficacia dei generici
Sui farmaci senza marca rimangono
ancora molti dubbi tra il pubblico . Silvio Garattini, direttore dell’Istituto
di ricerche farmacologiche Mario Negri di Milano, dice che addirittura questa
diffidenza arriva proprio dai camici bianchi. “Un’indagine ha dimostrato che il
58% dei medici italiani confessa perplessità sui medicinali equivalenti”,
ricorda l’esperto. Fra gli scettici, “il 60% esprime dubbi sull’efficacia dei
senza marca e il 40% sulla tollerabilità. Timori assolutamente infondati che
purtroppo, pur all’interno della classe medica, rispecchiano quelli della gente
comune”, dice lo scienziato.
Secondo il presidente di
Assogenerici Giorgio Foresti, la situazione è cambiata in Italia e siamo ormai
pronti culturalmente ai generici. “Oggi in alcune importanti aree terapeutiche,
come quella cardiovascolare, i farmaci beta-bloccanti generici toccano quota
20% a volumi. Se consideriamo la classe degli inibitori di pompa per l’ulcera,
tra cui il lansoprazolo, arriviamo al 30%”.
Dall'ultimo rapporto
Censis emerge che oltre la metà degli italiani (il 53,3%) ha aumentato nel 2009
il ricorso ai farmaci fuori brevetto, anche a causa del loro costo più basso
rispetto ai “griffati”. Ancora Claudio Cricelli, presidente della Società
italiana di medicina generale (Simg)ribadisce che i farmaci generici sono
esattamente come quelli di marca, come una edizione di un romanzo tascabile ha
lo stesso contenuto dell’edizione più costosa.
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