domenica 8 luglio 2012

SFRUTTAMENTO PLANETARIO


Foto:Qualevita

Mentre milioni di persone soffrono per la grave carestia che ha colpito il Corno d'Africa, nella stessa regione investitori stranieri raccolgono cereali destinati all'Asia e a paesi del Golfo.

La temperatura sfiora i 40 gradi centigradi.

Accovacciato, un ragazzino strappa erbacce in mezzo a un campo di canna da zucchero. Alle sue spalle passa un indiano che lo osserva con la coda dell'occhio. Red ha 8 anni e guadagna 80 centesimi al giorno in questa piantagione nell'Etiopia occi­dentale. Costa meno dei pesticidi. Esportando i raccolti lontano dal paese africano, il coltiva­tore indiano dovrebbe guadagnare milioni di franchi nei prossimi tre anni. In uno dei paesi più poveri del mondo, l'incetta di terre coltivabili è appena cominciata. Un ini­zio nel peggior momento. 

L'Etiopia è affamata. La siccità devastante che flagella tutto il Corno d'Africa da qualche mese minaccia oltre 10 milioni di persone.

"Qui è ancora una zona desertica, ma presto creeremo delle piantagioni di canna da zuc­chero e di palme da olio", racconta Karmjeet Singh Sekhon, mentre è al volante del suo fuo­ristrada.

Ai lati della pista, la boscaglia sta già bru­ciando. L'investitore indiano 68enne ha fretta. La sua enorme tenuta agricola si estende su 300 mila ettari. Nel 2008, in seguito al drastico rincaro dei prodotti alimentari e delle conse­guenti carestie, è scattata una corsa senza pre­cedenti per accaparrarsi le superfici agricole in Africa, Sudamerica e Asia. Secondo un rapporto della Banca mondiale, 45 milioni di ettari di terre sono stati affittati nel 2009. Si prevede che entro il 2030, nei paesi poveri, ogni anno saranno affittati sei milioni di ettari di terre agricole supplementari, di cui i due terzi nell'Africa subsahariana e in Suda­merica. Ettari di terre utilizzati non solo per nutrire paesi come l'India o gli stati del Golfo, ma anche come mezzo per questi paesi di svolgere un ruolo di primo piano nella produzione di agri-carburanti.

"L'accaparramento delle terre presenta un grande rischio. Occorre sollevare il velo di segretezza che avvolge questo commercio, affinché i poveri non paghino il prezzo forte e perdano la loro terra", dice la direttrice della Banca mondiale Ngozi Okonjo-lweala

La terribile carestia che 26 anni fa colpì l'Etio­pia fece oltre un milione di morti, nonostante l'aiuto internazionale. Questo scenario potrebbe ripetersi. Attualmente la maggior parte dei prodotti alimentari sono importati. In Etiopia, quasi l'85% della popolazione vive di agricoltura. Ma la maggior parte dei campi resta sterile ed è lavorata con metodi arcaici. Il loro rendimento è fra i più bassi al mondo. Il governo etiope spera di approfittare della locazione di queste superfici agricole agli in­vestitori stranieri per avviare una modernizza-zione.

Con un modico prezzo di locazione annuale di 5 franchi all'ettaro, l'Etiopia è diventata una terra prediletta dalle società di investimento nell'agribusiness. Per la disperazione degli agricoltori locali.

Come Ojwato, un contadino etiope che si tie­ne diritto davanti al suo campo di un ettaro. Gli bastano pochi minuti per attraversarlo. All'opposto delle ore di tragitto che occorrono a Karmjeet Singh Sekhon per percorrere con il fuoristrada le sue piantagioni di canna da zucchero.

Al pensiero che i raccolti dei campi vicini sono esportati all'estero mentre il paese è colpito dalla carestia, 

Ojwato insorge. "Gli stranieri avevano promesso in cambio elettricità, acqua e ospedali. Ma alla fine soltanto alcuni di noi sgobbano nel proprio campo e per di più sono mal pagati".

di Philipp Hedemann 

Fonte: QualeVita n.143,pag. 42 ottobre 2011

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