Diminuiscono
i prestiti bancari alle imprese (16 miliardi di euro in meno nei primi mesi del
2012) e gli investimenti produttivi (-6%). Più di 11.000 le imprese fallite nel
2011. Una risposta può venire dal microcredito
Nel
2011 il numero di imprese coinvolte in procedure fallimentari è quasi
raddoppiato rispetto al 2007, superando gli 11.000 casi. Tra dicembre 2011 e
febbraio 2012 i prestiti bancari alle imprese si sono ridotti di oltre 16
miliardi di euro. E anche glli investimenti produttivi sono scesi di più del 6%
nei primi mesi dell’anno rispetto al 2011. La costituzione di nuove imprese
rallenta e la disoccupazione, specie quella giovanile, aumenta. Le famiglie con
difficoltà economiche e prive di garanzie da prestare agli istituti di credito
sono attualmente il 18% del totale: una platea ampia di soggetti che in gran
parte possono accedere a interventi di microcredito e per i quali l’opportunità
di un nuovo lavoro rappresenta la possibilità di un riscatto sociale e morale.
Il sistema economico necessita di strumenti che sostengano in ogni modo
l’impresa e l’autoimpiego, anche attraverso il microcredito.
È
quanto emerge dallo studio del Censis «Crisi di sistema e microcredito in
Italia», promosso dall’Ente nazionale per il microcredito, che è stato
presentato oggi presso la sala stampa della Camera dei Deputati da Giuseppe De
Rita e Mario Baccini. Il dossier fa il punto sulle fasce deboli della
popolazione e sulle condizioni di crisi del tessuto produttivo, individuando i
soggetti in grado di usufruire di interventi di microcredito e rilanciando
l’esigenza di un centro di coordinamento e monitoraggio delle attività di
microfinanza.
Fino
a oggi tale centro è stato costituito dall’Ente nazionale per il microcredito,
che opera con una dotazione di 1,8 milioni di euro, più che triplicati
nell’ultimo anno grazie all’acquisizione di fondi comunitari per la
realizzazione di progetti di diffusione del microcredito e di azioni a sostegno
delle fasce disagiate della popolazione che oggi non possono avere accesso al
credito ordinario. Non si tratta pertanto di un ente che rappresenta un costo
per lo Stato, ma di una struttura che genera e genererà nuove entrate, trasformando
migliaia di disoccupati in contribuenti attivi. In un periodo di grave
recessione e di razionamento del credito, vanno valorizzati e ampliati i casi
di start-up di piccole imprese finanziate dal microcredito.
"Non
siamo certamente all’emergenza sociale – ha detto Giuseppe De Rita, presidente
del Censis –, ma alcuni segnali di crisi non possono essere sottovalutati:
500.000 posti di lavoro in meno, 13.000 imprese chiuse, una disoccupazione
giovanile che aumenta in modo inarrestabile. Proprio per questo penso che sia
il momento – ha concluso De Rita – per mettere a valore e non per eliminare
tutti gli strumenti che possono aiutare le famiglie e le imprese a ripartire
generando nuovo lavoro, anche attraverso il microcredito, che responsabilizza
chi lo usa e consente di non essere soggetti passivi del welfare, ma
contribuenti attivi grazie all’autoimpiego".
"È
sufficiente scorrere qualche pagina del dossier realizzato dal Censis – ha
detto Mario Baccini, presidente dell’Ente nazionale per il microcredito ‒ per
capire quanto si siano allargati i segmenti deboli della società, piegati da
una crisi economica che non sembra avere fine. Per molte persone che hanno
perso il lavoro e vogliono avviare un’attività imprenditoriale, ma sono prive
di garanzie da prestare a un istituto bancario, il microcredito rappresenta una
vera opportunità. Eliminare per decreto l’Ente nazionale per il microcredito
significa operare non per la crescita, specie in un momento di difficoltà come
questo, ma contro di essa. Va evidenziato – ha continuato Baccini – che l’Ente
per il microcredito, continuazione di un progetto avviato dalle Nazioni Unite,
è innanzitutto definito dalla legge quale centro nazionale di promozione e
coordinamento dei programmi microfinanziari dell’Ue, nonché il beneficiario di
fondi europei in virtù della propria unicità e infungibilità quale centro di
competenza nazionale. L’Ente ha sottoscritto una serie di accordi
interistituzionali su fondi europei per un totale di euro 7.824.249. Tali
risorse sarebbero rimaste inutilizzate causando un danno al sistema economico e
sociale del Paese e minori entrate per lo Stato. La soppressione dell’Ente – ha
concluso Baccini – determinerebbe il disimpegno di queste risorse e la perdita
di risorse professionali altamente qualificate che sviluppano i progetti
comunitari per conto dell'Ente".
Fonte: http://www.censis.it
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