La
stessa struttura, la Seb, filiale in Lussemburgo del gruppo italiano, ha
gestito la presunta mazzetta dello scandalo Penati e il riciclaggio dei soldi
in nero dell'evasione della famiglia Giacomini, che ha portato ad indagare
sull'ad Marco Bus. In entrambi casi, il denaro è finito in società off-shore gestite
da Alessandro Jelmoni, broker molto vicino alla banca.
di Vittorio Malagutti
Una
villa da favola in Sardegna. Casa in pieno centro a Milano, con tanto di arredi
milionari, come hanno constatato gli investigatori che a metà maggio hanno
perquisito la sua abitazione. E poi auto di lusso, residenze a Montecarlo, in
Svizzera e in Lussemburgo. Insomma, Alessandro Jelmoni, il broker internazionale in
carcere da maggio con l’accusa di riciclaggio, non si faceva davvero mancare
niente. Come molti professionisti della finanza off shore, quella che vive di holding e paradisi
fiscali, in 15 anni di carriera aveva accumulato un ricco tesoretto. Procurarsi
clienti non era davvero un problema. L’esportazione di capitali è uno degli
sport preferiti di industriali e professionisti nostrani. A portare in carcere
Jelmoni sono stati i rapporti con Elena e Corrado Giacomini, imprenditori piemontesi
al centro di un’inchiesta per una colossale frode fiscale. A gestire il loro
patrimonio in nero, oltre 200 milioni, era lui, Jelmoni, 45 anni, origini
venete. I soldi dei Giacomini erano depositati su un conto della Société
europeénne de banque (Seb), la banca lussemburghese di Intesa.
Sesto senso
Un caso? A giudicare dalle
carte dell’inchiesta penale pare proprio di no. E non solo perché Jelmoni è
legato da rapporti di amicizia e di affari con Marco Bus, il numero uno di Seb-Intesa, a sua
volta indagato per concorso in riciclaggio. Da un gran numero di documenti
ufficiali emerge che il broker ora agli arresti vendeva ai clienti pacchetti
off shore tutto compreso. Società, conti bancari e quant’altro può servire per
gestire capitali in fuga dall’Italia. E nella grandissima maggioranza dei casi
Jelmoni si appoggiava al gruppo Intesa, in particolare alla lussemburghese Seb.
Erano rapporti stretti e
collaudati, cominciati molti anni fa. La conferma arriva dalle carte
dell’inchiesta sul cosiddetto sistema Sesto. Ovvero la giostra di tangenti e
corruzione che secondo la Procura di Monza avrebbe ruotato attorno a Filippo Penati, l’ex capo della
segreteria politica di Pier Luigi Bersani, già presidente della Provincia di Milano e prima ancora sindaco di Sesto San Giovanni,
l’ex Stalingrado d’Italia alle porte di Milano. L’inchiesta penale è nata dalle
dichiarazioni del costruttoreGiuseppe Pasini, che ha rivelato di aver pagato
tangenti per 4 miliardi di vecchie lire (circa 2 milioni di euro) a Penati
tramite l’intermediario Pietro Di Caterina. Fatti prescritti ormai, visto che
risalgono al2000-2001.
Si scopre però che questa
presunta stecca sarebbe transitata da conti del gruppo Intesa grazie
a una struttura societaria allestita proprio da Jelmoni, che già dieci anni fa, quindi, lavorava,
via Lussemburgo, con la banca milanese. Per farla breve, i soldi che secondo
Pasini sarebbero andati a Penati sono partiti dalla lussemburghese Seb. La provvista
sarebbe stata creata con operazioni in titoli di due società off shore con
base nel paradiso fiscale di Niue, un’isoletta in mezzo all’oceano Pacifico.
Come risulta dai documenti bancari le due società in questione si chiamano High yeld financial investment Ltd e International monetary corp ltd.
“Consapevole dell’illecito”
Domanda: chi erano gli
amministratori di queste due finanziarie che hanno tutta l’aria di essere state
create apposta per gestire questo singolo affare? Nel ruolo di director
troviamo proprio lui, Jelmoni, assieme ad almeno un paio di suoi
colleghi che hanno avuto un ruolo anche nell’affare Giacomini. Corsi e ricorsi
storici. In due vicende in apparenza tanto lontane troviamo gli stessi
protagonisti. Jelmonicome tecnico della finanza off shore e Seb,
cioè Intesa, come banca d’appoggio. Del resto l’istituto milanese era
legatissimo a Pasini, a cui aveva prestato circa 200 milioni di euro per comprare l’area delle vecchie
acciaierie Falck a Sesto. Secondo i pm di Monza, Walter Mapelli e Franca Macchia, le modalità con cui è stata creata
la provvista per la presunta tangente inducono a “ritenere che la banca, come
sostiene Pasini, fosse assolutamente consapevole e complice dell’illecito”.
A conclusioni molto simili
sono giunti anche i magistrati di Verbania, il capo della procura Giulia Perrotti e
il sostituto Fabrizio Argentieri, che nel caso della frode
fiscale dei Giacomini, ipotizzano complicità ai vertici della Seb, guidata da
Bus. Va ricordato che la vicenda di Sesto e dell’area Falck non si esaurisce
con le stecche denunciate da Pasini. Quest’ultimo, messo alle corde dal forte
indebitamento con Intesa e dal blocco dei lavori sui suoi terreni, nel
2005 getta la spugna e vende al costruttore Luigi Zunino, pure lui generosamente foraggiato
dalla banca guidata da Corrado Passera.
Intrighi e autostrade
Anche Penati, passato sulla
poltrona di presidente della Provincia di Milano, è finito di nuovo nei guai
per l’acquisto da parte dell’ente pubblico del 15% dell’autostrada Serravalle messo in vendita dal gruppo Gavio. Un
acquisto concluso a un prezzo molto elevato, tanto da essere considerato fuori
mercato da una mezza dozzina di perizie. Ebbene, chi ha prestato i soldi alla
provincia guidata da Penati per comprare quel 15%? Risposta: è stata Intesa. Adesso Penati è indagato per corruzione ed
è finito nei guai anche Maurizio Pagani, top manager della banca
milanese pure li indagato per corruzione. Pagani lavora per la Biis, la Banca infrastrutture innovazione e sviluppo che all’epoca dei fatti era guidata da Mario Ciaccia, poi chiamato al governo da Passera
come sottosegretario al ministero dello Sviluppo. Che fine hanno fatto i soldi,
oltre 230 milioni di euro, versati dalla Provincia di
Milano ai Gavio? I pm di Monza hanno ricostruito il percorso dei soldi e hanno
accertato che almeno una fetta di quel denaro è transitato da Intesa Sanpaolo bank Suisse, la filiale luganese
del gruppo. Sarà una coincidenza ma nel consiglio di questa società svizzera
siede, sin dal 2008, Marco Bus. Proprio lui, il top manager di Intesa
che guida la Seb di Lussemburgo. La banca del denaro nero dei Giacomini. E
delle società off shore targate Jelmoni.
da Il Fatto Quotidiano dell’8
luglio 2012 Fonte: http://www.ilfattoquotidiano.it
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